Gli Avvocati penalisti dello Studio si occupano da anni di assistere in giudizio coloro che siano vittime oppure che siano accusati del reato di violenza sessuale (c.d. stupro), anche nei casi di violenza sessuale di gruppo o di violenza o atti sessuali su minorenni.
In via esemplificativa, i servizi legali forniti sono i seguenti:
Il reato di violenza sessuale è previsto e punito dall’art. 609 bis del codice penale.
Tale reato consiste costringere taluno con la violenza, la minaccia o mediante abuso d’autorità a compiere o subire atti sessuali.
La pena prevista è la reclusione da 6 a 12 anni, che può aumentare sensibilmente in caso di aggravanti.
Chi è vittima di una violenza sessuale riporta spesso gravi conseguenze non solo sul piano fisico, ma soprattutto su quello emotivo e psicologico.
Tra le conseguenze più comuni vi sono serie e irreversibili difficoltà nel relazionarsi con gli altri, soprattutto con persone dell’altro sesso.
Si tenga presente che sono considerati violenza sessuale tutti i tipi di atti che sono volti e provocare eccitamento o sfogo dell’istinto sessuale. Non conta che vi sia o meno un vero e proprio contatto fisico con la vittima.
Ciò che rileva ai fini della responsabilità penale è che si verifichi una violazione della libertà di autodeterminazione per la vittima nella sua sfera sessuale.
L’art. 609 bis prevede due diverse modalità di attuazione della violenza sessuale, punite con la medesima pena (reclusione da 6 a 12 anni):
Nel caso della violenza per costrizione, l’aggressore agisce coartando la volontà della vittima; quest’ultima, pur non essendo consenziente all’atto sessuale, non può far altro che cedere davanti alla “forza” del violentatore e soddisfare le sue pretese sessuali.
Chi subisce la costrizione vede annullata o limitata la propria capacità di azione e reazione, divenendo strumento sessuale nelle mani dell’aggressore.
Gli strumenti utilizzati dall’aggressore per vincere la volontà della vittima e costringerla all’atto possono essere tre:
Un insegnante di inglese approfitta delle ore di lezione privata per costringere due alunne minori di 14 anni a subire e a compiere su di lui atti sessuali.
L’uomo viene condannato dal Tribunale di Enna per violenza sessuale aggravata dall’età delle vittime; la Corte d’Appello conferma la condanna.
Dopo aver ammesso il ricorso della difesa, la Cassazione si è posta il seguente quesito: la posizione dell’insegnante privato può ritenersi tale da comportare un’effettiva autorità, mancando in tal caso una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico in capo al soggetto agente?
Secondo una prima tesi, il concetto di abuso di autorità di cui all’art. 609 bis c.p. si riferirebbe solo ai rapporti formali e pubblicistici; si pensi, ad esempio, ai contratti di lavoro o al rapporto medico-paziente.
Al contrario, l’abuso di autorità non riguarderebbe i rapporti privatistici non formalizzati dalla legge.
La Cassazione nel 2007 ha precisato che l’abuso di autorità consiste nella strumentalizzazione del proprio potere. In altre parole, vi è una subordinazione psicologica tale per cui la vittima viene costretta al rapporto sessuale da chi esercita l’autorità.
Tale orientamento deriva dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13 del 31 maggio 2000, che aveva assolto dal reato di violenza sessuale un insegnante privato. L’uomo aveva compiuto atti sessuali con un minore di 16 anni a lui affidato per ragioni di istruzione e educazione.
Escluso il reato di violenza sessuale aggravata, l’insegnante è stato comunque condannato per il meno grave reato di atti sessuali con minore.
Il secondo orientamento, da subito prevalente, propende per un concetto di abuso di autorità comprensivo anche di relazioni di natura privatistica. Ciò che conta è che l’autore abusi in concreto della propria posizione di supremazia per coartare la volontà della persona offesa.
Tale orientamento è stato per la prima volta fatto proprio dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2119 del 2008. In tale circostanza, è stato affermato che la convivenza dell’imputato con la madre del minore fosse un valido presupposto dell’abuso di autorità.
Successivamente, con la sentenza n. 23873 del 2009 è stato affermato che nell’abuso di autorità rientra ogni forma di strumentalizzazione del rapporto di supremazia. Non vi è, infatti, alcuna distinzione tra autorità pubblica e privata.
Orbene, la violenza sessuale mediante abuso di autorità si riferisce indifferentemente è riferibile tanto all’autorità pubblica quanto a quella privata. Può trattarsi di abuso di relazioni domestiche, di ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità.
La tesi corretta è la seconda, tenuto conto che a rilevare è la coartazione della volontà della vittima posta in essere abusando di una posizione di preminenza. A rilevare è soltanto la strumentalizzazione della posizione di supremazia rivestita; non ha importanza, invece, se detta posizione è di natura pubblicistica o privatistica.
Il principio di diritto: “l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609 bis comma primo, cod. pen. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.
Tornando all’esempio iniziale, l’insegnante di inglese risponde di violenza sessuale a patto che egli abbia effettivamente ottenuto la prestazione sessuale dalle alunne utilizzando in maniera strumentale e subdola la propria autorità di docente.
La Sezioni Unite hanno precisato che, affinché il reato si configuri, occorre sempre dimostrare non soltanto l’esistenza di un rapporto di autorità, ma anche l’abuso in concreto di tale posizione di supremazia ad opera dell’agente al fine di costringere la persona offesa a compiere o subire un atto sessuale.
È esclusa la possibilità di desumere la costrizione in via meramente presuntiva sulla base della posizione autoritativa del soggetto agente. L’accusa, dunque, dovrà sempre dimostrare che l’assoggettamento della vittima alla volontà sessuale dell’aggressore sia effettivamente la conseguenza dell’autorità esercitata dall’aggressore medesimo.
La violenza per induzione è quella commessa da chi, senza ricorrere a violenze o abusi, persuade la persona offesa a sottostare ad atti che, in condizioni normali, non avrebbe compiuto ovvero a subirli.
Per fare ciò, il violentatore strumentalizza la vulnerabilità fisica o psichica per soddisfare la propria sessualità.
Gli strumenti attraverso i quali può avvenire l’induzione sono due:
Per inferiorità fisica si intende l’incapacità materiale della vittima di resistere alle altrui iniziative sessuali. Le cause possono essere le più varie, come ad esempio una malattia, una paralisi o la mutilazione degli arti.
Va ritenuto in una condizione di inferiorità psichica chiunque non abbia pieno controllo di sé e delle sue scelte, per via di una temporanea o permanente menomazione dovuta sia a fenomeni patologici che a traumi o fattori ambientali.
La condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale (Cass. Pen., Sez. III, 13 luglio 2022, n. 31776).
È sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all’altrui opera di coazione psicologica o di suggestione. Le cause di tale inferiorità possono essere le più varie: anche la semplice arretratezza culturale può rilevare.
Affinché si possa essere condannati per violenza sessuale per induzione, la Cassazione ha stabilito che è necessario accertare che:
1) la condizione di inferiorità sussista al momento del fatto;
2) il consenso dell’atto sia viziato da tale condizione;
3) il vizio di mente della vittima sia riscontrato caso per caso e non presunto, né desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona, quando non sia tale da escludere radicalmente la capacità stessa di autodeterminarsi;
4) il consenso sia frutto dell’induzione;
5) l’induzione, a sua volta, sia stata realizzata sfruttando la condizione di inferiorità per carpire un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato;
6) l’induzione e la sua natura abusiva precedano l’atto sessuale.
Tra le condizioni di inferiorità rientrano anche quelle conseguenti alla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti da parte della persona offesa.
Anche in tali casi, infatti, la situazione di menomazione della vittima può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente (Cass. Pen., Sez. III, 23 marzo 2022, n. 18522).
Orbene, è indifferente che l’assunzione di alcol o droga da parte della vittima venga provocata dall’aggressore (ad esempio, mettendo una pasticca di nascosto in un cocktail) o dalla vittima consapevolmente.
Ciò che rileva è solo il fatto che dall’assunzione sia derivata una menomazione delle capacità cognitive della persona offesa.
Nel 1996 è stata superata la storica distinzione tra i due differenti reati di violenza carnale (penetrazioni) e di atti di libidine violenti (toccamenti).
L’attuale art. 609 bis c.p. ha riunito le due precedenti ipotesi, facendo riferimento in maniera generica al concetto di “atti sessuali”.
La Cassazione fornisce un’interpretazione abbastanza ampia del concetto di atto sessuale. Ciò che è prioritario è la tutela della libertà della persona offesa di autodeterminarsi nella sfera sessuale.
È da ritenersi atto sessuale, oltre a ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto contrario alla volontà della vittima idoneo a provocare l’eccitamento o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. Non rileva che vi sia o meno il contatto con le zone erogene della persona offesa (Cass. Pen., 7 giugno 2019, n. 25309).
La Cassazione, in maniera ormai consolidata, afferma che l’atto deve necessariamente coinvolgere il corpo della vittima.
Sono estranei al concetto di “atti sessuali” gli atti di esibizionismo (ad esempio, calarsi i pantaloni davanti a una donna) o di autoerotismo (masturbazione) davanti a soggetti terzi che sono così costretti ad assistervi, non venendo però coinvolti nella loro corporeità (Cass. Pen., Sez. III, 29 ottobre 2020, n. 33045).
Recentemente, la Cassazione ha condannato un uomo che si era masturbato e aveva palpeggiato le zone erogene della vittima.
È stato precisato che integra il reato di violenza sessuale il compimento di atti di autoerotismo al cospetto della persona offesa solo se coinvolge la corporeità di quest’ultima (Cass. Pen., Sez. III, 13 aprile 2022, n. 37916).
La Cassazione ha affermato che anche il bacio sulla bocca, in alcune circostanze, può essere considerato atto sessuale.
Per essere condannati, non rileva se si è trattato di un unico e rapido contatto con le labbra, pur se non violento (Cass. Pen., 14 ottobre 2021, n. 37460).
Va valutato se, in base al contesto sociale e culturale in cui l’azione si è svolta, il bacio ha effettivamente violato la libertà sessuale di chi lo ha ricevuto.
La valenza sessuale del bacio sulle labbra non va mai data per scontato, ma va sempre dimostrata sulla base delle circostanze del fatto. Molteplici gli aspetti da considerare per stabilire se un bacio è o non è un atto sessuale:
La vicenda si è svolta nell’ambito di un rapporto di coppia improntato sulla prevaricazione e sulla violenza da parte del marito. L’uomo aveva baciato la donna sulla bocca contro la sua volontà, ma riteneva di non aver usato né violenze fisiche né verbali, e, dunque, di non aver commesso reato.
La mancanza di ogni consenso da parte della donna all’atto del bacio era ben nota all’uomo, che non si rassegnava alla fine del rapporto sentimentale; la moglie, peraltro, gli aveva già da tempo comunicato l’intenzione di lasciarlo e di trasferirsi altrove.
La Cassazione ha, innanzitutto, ricordato che può essere qualificato come “atto sessuale” anche il bacio sulla bocca che consista unicamente nel contatto delle labbra.
Solo in particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica il bacio non costituisce violenza sessuale; si pensi, ad esempio, ad alcuni popoli che si scambiano il bacio sulla bocca come gesto di saluto.
Ebbene, va condannato il marito che costringe a un bacio la moglie tenendole stretto il viso e impedendole, così, di sfuggire alla sua presa.
Quanto al bacio fugace sulla guancia, questo in linea di massima è considerato privo di valenza sessuale, per cui non comporta condanna per violenza sessuale.
La Cassazione ha affermato, infatti, che il bacio sulla guancia nella cultura della nostra società non può mai essere considerato “atto sessuale”. Ovviamente, cosa diversa accadrebbe nel caso in cui venisse leccata la guancia di un’altra persona, trattandosi in tal caso di atto a valenza sessuale.
In un caso recente, la Cassazione ha affermato che il leccamento sulle labbra, per le sue inequivoche connotazioni libidinose, va sempre considerato atto sessuale.
Nel caso di specie, è stato condannato un uomo che, dopo il rifiuto di un bacio, aveva leccato le labbra di una donna contro la sua volontà (Cass. Pen., 12 aprile 2022 , n. 19657).
Non occorre che la violenza si espliciti con forma o veemenza particolare, ovvero in modo brutale ed aggressivo (Cass. Pen., 22 settembre2021, n. 37460).
La violenza, infatti, può manifestarsi anche come sopraffazione funzionale e limitata alla pretesa dell’atto sessuale; si pensi al caso citato in precedenza del marito che ruba il bacio alla moglie stringendole la testa senza eccessivo vigore.
Il palpeggiamento delle zone erogene, così come anche gli schiaffi sui glutei e gli sfregamenti, costituiscono violenza sessuale.
La Cassazione, inoltre, ha affermato che anche i toccamenti tra le gambe che non attingono a zone genitali possono costituire violenza sessuale; ciò, dopo aver valutato la dinamica del toccamento e il rapporto che intercorre tra le parti.
Nel caso di specie, è stato condannato un uomo che, dopo aver ripetutamente tentato di alzare il vestito indossato dalla vittima, le aveva toccato le gambe con l’intenzione di arrivare alle parti intime. Considerata la dinamica, anche precedente al toccamento, l’atto è stato considerato di carattere sessuale (Cass. Pen., 1 aprile 2018, n. 38926).
La risposta è “sì”, in quanto le intenzioni di chi palpeggia (ad esempio, la volontà di fare uno scherzo) non scriminano la condotta.
Non ha alcuna rilevanza il movente che sorregge la condotta: ciò che conta ai fini della configurazione del reato è che il soggetto sia consapevole di compiere un atto a connotazione sessuale e che questo leda il diritto della persona offesa di disporre liberamente del proprio corpo (Cass. Pen., 9 aprile 2021, n. 13278).
Recentemente sono state archiviate le accuse nei confronti di un uomo che aveva toccato i glutei di una commessa col dorso della mano. “Gesto immorale, ma non è violenza sessuale” ha motivato il giudice.
Dai filmati ripresi dalle telecamere di un negozio nel Salento, si vede un 51enne che, nel percorrere la corsia dei prodotti frigo, poggia in modo fulmineo il dorso della mano sul seder della commessa. Dalle dichiarazioni rese, inoltre, è emerso che i due si conoscevano ormai da molto tempo.
Il Giudice per le indagini preliminari ha archiviato il procedimento.
La pacca sul sedere è stata ritenuta estranea al concetto di palpeggiamento, in quanto la permanenza della mano sul copro della donna è stata di una frazione di secondo e non ne ha compromesso la libertà sessuale.
Più volte, del resto, la Cassazione ha ribadito che non ogni contatto con le zone erogene è da considerarsi violenza sessuale. In altre parole, va condannato solo chi ponga in essere un palpeggiamento o un toccamento non istantaneo e a connotazione lasciva.
Lo sfioramento istantaneo va ritenuto accidentale e, nel dubbio, l’imputato va assolto (Cass. Pen., sent. n. 35473/2016).
È possibile parlare di violenza sessuale via chat, senza che ci sia un contatto fisico con la persona offesa?
Ebbene sì, si può arrivare alla vera e propria violenza sessuale anche senza sfiorare con un dito la vittima.
Ciò avviene quando, sotto minaccia, si costringe una persona a continuare contro la sua volontà un gioco perverso di scambio di contenuti hot; non rileva, peraltro, che il “gioco” sia iniziato col consenso di entrambi.
Una ragazza acconsente a fotografarsi nuda e ad inviare immagini e video via whatsapp al suo compagno occasionale di giochi erotici. Comincia lo scambio di foto, prima provocanti, poi sempre più piccanti fino alla nudità assoluta e ai video di autoerotismo girati col telefonino.
Il gioco va avanti per un po’, fino a che lui comincia a chiedere delle cose sempre più spinte; lei, stanca dell’insistenza, decide di mollare. L’uomo, così, inizia a minacciarla e costringe di fatto la ragazza ad accontentarlo, per paura di finire sul web senza veli.
C’è violenza sessuale quando una persona costringe un’altra persona a mostrarsi nuda o mentre si masturba davanti al telefonino, sotto la minaccia di pubblicare altre immagini di cui è già in possesso.
Diverso, invece, il reato di revenge porn, introdotto con il Codice Rosso del 2019. Tale delitto si configura con la diffusione di immagini a sfondo sessuale ai danni di una persona ritratta o contro la sua volontà o conoscenza oppure in maniera consenziente ma contraria alla pubblicazione.
Il reato di violenza sessuale non richiede l’imposizione violenta di atti sessuali, bensì unicamente la mancanza del consenso della vittima agli stessi.
Orbene, in assenza di indici chiari ed univoci di consenso, si deve presumere il dissenso del destinatario degli atti sessuali.
Non sussiste in capo alla vittima un onere di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella propria sfera sessuale. Affinché sia escluso il reato, è necessaria una manifestazione di consenso da parte del soggetto passivo che, quand’anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita (Cass. Pen., 17 giugno 2022, n. 32846).
A esempio, il pianto della donna, durante il rapporto sessuale impostole dal convivente, è un elemento inequivocabile del dissenso della vittima.
Non è necessario che la vittima si opponga utilizzando la forza, risultando sufficiente un qualsiasi elemento da cui dedurre la mancanza di consenso.
Il reato della violenza sessuale di gruppo è reato più grave, previsto dall’art. 609-octies c.p. e punito con la reclusione da 8 a 14 anni.
Esso sussiste quando due o più persone partecipano oppure assistono al compimento degli atti di violenza sessuale.
Ebbene, anche la semplice presenza nel luogo e nel momento dell’atto sessuale comporta la condanna per violenza sessuale di gruppo. Ciò perché la presenza di altre persone, da un lato intimorisce di più la vittima, dall’altro rafforza il proposito criminoso dell’autore dell’atto.
L’esempio più comune è quello del soggetto che, pur non partecipando all’atto sessuale, fa delle riprese con il cellulare. Costui risponderà di violenza sessuale di gruppo al pari di chi materialmente fa sesso con la vittima (Cass. Pen., sent. n. 16037/2018).
Innanzitutto, si tenga presente che un genitore ha l’obbligo giuridico di attivarsi per tutelare il figlio da eventi pregiudizievoli. Ebbene, non impedire una violenza sessuale che si poteva e doveva impedire equivale a realizzarla.
La regola: se il genitore, pur consapevole del fatto che un terzo sta violentando il figlio minore, tiene un comportamento passivo e non interviene, risponderà anch’egli di violenza sessuale in concorso col violentatore materiale.
Attenzione: se il genitore è anche presente al momento dell’atto sessuale, si configura il più grave reato di violenza sessuale di gruppo.
Il reato di violenza sessuale è punito con la reclusione da 6 a 12 anni.
La pena è aumentata di 1/3 (si può arrivare, quindi, a 16 anni) se sussiste una delle aggravanti previste dall’art. 609-ter c.p.
Ancora, l’aumento è della metà se il fatto è commesso in danno di chi non ha compiuto i 14 anni. La pena è invece raddoppiata (si va dai 12 ai 24 anni di reclusione) se la vittima ha meno di 10 anni.
Oltre alle suddette pene principali, il codice penale prevede a tutela della persona offesa le seguenti pene accessorie:
Il fatto che il violentatore non fosse a conoscenza della minore età della vittima non ha alcun rilievo, salvo che si tratti di ignoranza “inevitabile”. Questo è ciò che prevede l’art. 609-sexies c.p.
Cosa significa?
Che l’errore sull’età della vittima esclude l’aggravante solo se l’agente, pur adottando la dovuta diligenza e facendo gli accertamenti del caso, è stato indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che la minorenne fosse maggiorenne.
Perché l’errore sia considerato “inevitabile”, non basta che la stessa minorenne abbia dichiarato di essere maggiorenne (Cass. Pen., sent. n. 502/2022).
Per di più, grava sempre su colui che invoca l’errore l’onere di dimostrare in giudizio di aver attivato tutte le precauzioni e gli accorgimenti del caso per verificare l’età della persona offesa (Cass. Pen., sent. n. 47293/2021).
Il codice stabilisce che, nei casi di “minore gravità”, la pena è diminuita in misura non eccedente i 2/3.
Ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità del reato sessuale deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto.
A rilevare sono i seguenti elementi:
Nei casi di minore gravità, sostanzialmente, si deve arrivare ad accertare che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto (Cass. Pen., 14 aprile 2022, n. 28009).
Il reato di violenza sessuale si prescrive nel termine di 24 anni, più ¼ in caso di eventuali atti interruttivi per un totale di 30 anni.
Se il reato è commesso in danno di un minore, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui questi compie i 18 anni.
Il reato è procedibile a querela della persona offesa. La querela, però, può essere presentata nel termine straordinario di 12 mesi ed è irrevocabile.
Si procede d’ufficio, invece, qualora ricorrano le circostanze riportate dall’art. 609-septies c.p.
Le misure cautelari sono consentite (anche l’allontanamento dalla casa familiare), così come sono consentite le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
La pena stabilita dall’articolo 609 bis è aumentata di un terzo se i fatti ivi previsti sono commessi:
1) nei confronti di persona della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il tutore;
2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto;
5-bis) all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa;
5-ter) nei confronti di donna in stato di gravidanza;
5-quater) nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza;
5-quinquies) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;
5-sexies) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave;
5-septies) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.
La pena stabilita dall’articolo 609 bis è aumentata della metà se i fatti ivi previsti sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici. La pena è raddoppiata se i fatti di cui all’articolo 609 bis sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.
La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis.
Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
Si applicano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 609 ter.
La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112.
La violenza sessuale è un reato molto grave che consiste in qualsiasi atto sessuale commesso senza il consenso della vittima. Include tutte le forme di abuso sessuale, dallo stupro alle semplici molestie, e altre forme di aggressione sessuale.
Le conseguenze della violenza sessuale variano da persona a persona. Perlopiù, le vittime di violenza riportano traumi psicologici, depressione, ansia, difficoltà nelle relazioni e problemi di salute fisica.
Se sei vittima di violenza sessuale, è importante che ne parli con qualcuno di cui ti fidi. Puoi anche contattare le linee di aiuto, come le linee di violenza sessuale, per aiuto e sostegno, oltre ad affidarti a un bravo Avvocato penalista.
Se sei vittima di violenza sessuale, è importante che ne parli con qualcuno di cui ti fidi. Puoi anche contattare le linee di aiuto, come le linee di violenza sessuale, per aiuto e sostegno, oltre ad affidarti a un bravo Avvocato penalista.
Se conosci qualcuno che è vittima di violenza sessuale, offrigli il tuo sostegno e aiuto. Parla con lui o lei e aiutalo/a a mettersi in contatto con dei professionisti, sia per la sua tutela legale che per quella psico-fisica.
La punizione per un reato di violenza sessuale varia in base all’età della vittima e al rapporto che intercorre con essa.
La pena base è la reclusione da 6 a 12 anni, che può però aumentare considerevolmente in caso di aggravanti.