Gli Avvocati penalisti dello Studio operano a Roma e su tutto il territorio nazionale, a tutela di coloro che vengano accusati di resistenza a un pubblico ufficiale nonché di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, aiutandoli a difendersi nella maniera più efficace e fornendo una serie di servizi legali utili all’assistito per la propria salvaguardia processuale ed extraprocessuale, quali ad esempio:
– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;
– investigazioni difensive;
– redazione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari personali e reali;
– assistenza per tutta la durata del processo;
– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione.
La resistenza a pubblico ufficiale è quel reato commesso, ad esempio, da un soggetto che, fermato dai Carabinieri per un controllo, tenti di fuggire, rivolgendo, inoltre, ai predetti, minacce di morte per indurli a lasciarlo andare e cercando di forzare il posto di blocco con la propria auto, pur se tale resistenza venga vinta dagli agenti operanti. Ai fini della configurazione del reato, pertanto, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale (nel caso di specie, i Carabinieri), bastando che l’atto violento o la minaccia siano finalizzati ad ostacolare un atto del servizio o dell’ufficio, a nulla rilevando che tale azione abbia poi effettivamente impedito l’attività del pubblico agente (Cass. Pen., Sez. VI, n. 5459/2020).
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale, in altre parole, può essere commesso da chiunque e ricomprende tutte le condotte consistenti in violenza o minaccia poste in essere per opporsi all’operato di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto dell’ufficio o del servizio ovvero in danno di coloro che, su richiesta del pubblico agente, prestino assistenza.
Attenzione, però, richiedendosi ai fini dell’integrazione del reato in esame la violenza o la minaccia, non rilevano comportamenti meramente non collaborativi, così come non rileva la fuga.
Con riguardo al reato di resistenza a pubblico ufficiale e ad altri reati dello stesso genere, quali ad esempio la violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) oppure l’oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis c.p.), opera la causa di non punibilità della reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali.
Essa permette di escludere il reato nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbiano dato causa ai fatti preveduti come reati dagli articoli 336, 337, 338, 339, 339 bis, 341 bis, 342 e 343 c.p. eccedendo con atti arbitrari i limiti delle loro attribuzioni. L’esimente in parola, pertanto, mira a tutelare il privato nel momento in cui il pubblico agente travalichi nel proprio operato i limiti posti dallo Stato a tutela del privato medesimo, realizzando condotte oggettivamente illegittime che ne ledono i diritti senza che vi sia una fondata ragione di interesse pubblicistico.
Per un esempio di atto arbitrario, si pensi, ad esempio al pubblico impiegato addetto all’emissione dei biglietti di viaggio che, in orario di apertura dello sportello, avendo in corso con un collega una prolungata telefonata non urgente e certamente posticipabile, nonostante la presenza di un utente in attesa per il biglietto, non interrompa la telefonata neppure per il tempo strettamente necessario ad invitare il viaggiatore ad attendere. Emerge, pertanto, che l’atto arbitrario può anche consistere in una condotta omissiva del pubblico agente, purché chiaramente essa si concretizzi in una vessazione o sopraffazione nei confronti del privato, tale da scindere il legame con l’ufficio pubblico in cui egli è inserito e in forza del quale è conferita la qualifica pubblica.
Ancora, per altro esempio di atto arbitrario del pubblico ufficiale si pensi all’agente di polizia penitenziaria di sesso maschile che cerchi di imporre a una detenuta una perquisizione personale completa, inclusiva cioè dell’ispezione vaginale. Al contrario, come recentemente rammentato dalla Cassazione, non è illegittima la perquisizione semplice posta in essere dall’agente di polizia giudiziaria di sesso maschile su una donna, purché chiaramente sussistano i presupposti di legge consistenti nell’urgenza di sequestrare il corpo del reato.
Pene previste per la resistenza a pubblico ufficiale
Il reato in questione è punito con la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni, per cui in linea di massima può trovare applicazione l’art. 131 bis c.p. che esclude la punibilità per particolare tenuità del fatto, ad eccezione, però, dei casi in cui la resistenza avvenga in danno di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza ovvero in danno di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni.
È possibile, altresì, ricorrere alla sospensione del procedimento con messa alla prova, il cui esito positivo comporta l’estinzione del reato.
Il delitto si prescrive nel termine di 6 anni, più 1/4 in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.
Venendo agli aspetti puramente procedurali, si tratta di un reato procedibile d’ufficio -non si richiedono condizioni di procedibilità, quali ad esempio la querela- e la competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto è facoltativo in caso di flagranza di reato, mentre il fermo non è consentito.
Le misure cautelari personali sono consentite, così come consentite sono le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni quali mezzo di ricerca della prova.
la resistenza avvenga in danno di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza ovvero in danno di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni.
È possibile, altresì, ricorrere alla sospensione del procedimento con messa alla prova, il cui esito positivo comporta l’estinzione del reato.
Il delitto si prescrive nel termine di 6 anni, più 1/4 in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.
Venendo agli aspetti puramente procedurali, si tratta di un reato procedibile d’ufficio -non si richiedono condizioni di procedibilità, quali ad esempio la querela- e la competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto è facoltativo in caso di flagranza di reato, mentre il fermo non è consentito.
Le misure cautelari personali sono consentite, così come consentite sono le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni quali mezzo di ricerca della prova.
Posta la difficoltà nell’individuare gli esatti confini tra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) la Corte di Cassazione è più volte intervenuta sul punto, stabilendo quanto segue: se la violenza o minaccia precede il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale ed è finalizzato a costringerlo ad ometterlo anteriormente all’inizio dell’esecuzione dell’atto medesimo, si tratta dell’ipotesi di cui all’art. 336 c.p.; se, al contrario, la condotta violenta o minacciosa viene posta in essere durante il compimento dell’atto d’ufficio e allo scopo di impedirlo, l’agente risponderà del reato di resistenza previsto e punito dall’art. 337 c.p.
Per un esempio di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, si pensi a colui che minacci un testimone processuale prima della deposizione affinché non renda determinate dichiarazioni, posto che il testimone acquista la qualità di pubblico ufficiale già al momento della citazione ad opera del Tribunale.
Discorso a parte va fatto con riguardo al meno grave reato di oltraggio a pubblico ufficiale previsto e punito dall’art 341 bis c.p., in quanto esso mira a tutelare l’onore e il decoro dei pubblici ufficiali contro le pubbliche offese arrecate loro dai privati mentre pongono in essere atti dell’ufficio. Da ciò deriva che detto reato può concorrere con quello di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto la condotta ingiuriosa non è elemento costitutivo del diverso reato di resistenza.
Si pensi a colui che, dopo aver ingiuriato i pubblici ufficiali con espressioni offensive riferite alla loro appartenenza alla Polizia di Stato, li minacci di morte al fine di opporsi alla richiesta di mostrare i documenti e di farsi identificare: in tal caso, il soggetto dovrà rispondere sia di oltraggio che di resistenza a pubblico ufficiale.
Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o influire, comunque, su di essa.
Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.
Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.