Complice soprattutto la rapida diffusione dei mezzi tecnologici, sempre più spesso accade che, nell’ambito di una relazione sentimentale, si scattino foto o si facciano consensualmente video a contenuto sessuale insieme al proprio partner, con la ragionevole aspettativa che questi rimangano strettamente riservati.
Ebbene, talvolta accade che venga fatto un uso deviante di tale materiale intimo, consistente nel diffonderlo sul web, spesso tramite social network, app di messaggistica come whatsapp oppure veri e propri siti pornografici, allo scopo di umiliare il soggetto ivi ritratto e di vendicarsi per la fine della relazione oppure allo scopo di intimidirlo e “legarlo a sé” nel caso in cui questi manifesti l’intenzione di concludere il rapporto sentimentale: si tratta del fenomeno comunemente detto “revenge porn”.
Ebbene, bisogna tener presente che tale fenomeno di particolare allarme sociale ha portato, con la Legge 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. Codice rosso), all’introduzione dell’art. 612 ter c.p., il quale prevede una fattispecie di reato specificamente rivolta a tale tipologia di condotte e rubricata “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.
Gli Avvocati dello Studio si occupano della difesa in giudizio di persone accusate di diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito oppure che siano persone offese del reato in questione, fornendo ai propri assistiti tutto il supporto tecnico necessario e mettendo a loro disposizione una serie di servizi legali mirati, quali:
– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;
– investigazioni difensive;
– assistenza per tutta la durata del processo;
– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione.
Tutti noi abbiamo certamente sentito parlare ai Tg della vicenda risalente alla primavera 2018 (dunque, prima dell’introduzione dell’art. 612 ter c.p., quando le condotte di diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito venivano comunemente fatte ricadere sotto la fattispecie di diffamazione di cui all’art. 595 c.p.) che aveva riguardato una maestra d’asilo della provincia di Torino la quale era stata licenziata dalla direttrice dell’istituto torinese perché, a sua insaputa e senza il suo consenso, alcune sue foto hard inoltrate privatamente al suo allora fidanzato, in seguito all’interruzione della loro relazione sentimentale, erano state poi diffuse dallo stesso su una chat condivisa con gli amici di calcetto. Perdipiù, su una di dette foto, compariva addirittura il nome della ragazza rappresentata.
Quando la notizia della circolazione delle immagini intime si sparse, l’insegnante fu indotta a dimettersi dalla direttrice dell’istituto. Nel passa-parola, che coinvolse anche le mamme degli alunni, il contenuto delle immagini fu ingigantito, con linguaggio crudo ed esplicito, fino a tentare di far passare la maestra come “persona capace di porre in essere atti di pornografia con diversi partecipanti immortalati in più video” (cosa non vera!) per “esporla al pubblico biasimo”. Il giudice di primo grado ha annotato anche la conversazione in cui una donna, non imputata, ha chiesto “con insistenza” e “palese interesse pruriginoso” di avere i video. Una delle mamme, imputata poi nel processo, descrisse un gesto inesistente e le mandò solo uno screenshot, “dando soddisfazione alla morbosa curiosità”, come ha affermato il Tribunale.
Ebbene, nella sentenza emessa dal Tribunale di Torino nel febbraio 2021 si è dato atto che la direttrice, accusata di violenza privata e diffamazione, fu “spinta a compiere il reato dal desiderio di proteggere la propria attività lavorativa, circostanza che può indubbiamente averne offuscato le capacità valutative”, tanto è vero che la pena finale è stata ridotta ad un anno e un mese di reclusione. Nello stesso processo è stata condannata ad un anno anche una delle mamme degli alunni, alla quale erano state contestate la tentata violenza privata e la violazione del codice della privacy, in quanto aveva inoltrato le immagini ad alcune amiche. Con rito abbreviato il Tribunale di Torino ha, invece, assolto dall’accusa di violazione della privacy il papà di un’alunna che era accusato di aver inviato alla moglie alcuni screenshot delle foto osé in questione. Sempre per violazione della privacy, inoltre, è stata condannata a 8 mesi una ex collega della vittima. Quanto all’ex fidanzato, anch’egli accusato di diffamazione aggravata, costui ha beneficiato dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, che, va detto, oggi non è più ammissibile in casi simili visto che il nuovo reato previsto dall’art. 612 ter c.p. è ostativo a tale istituto di favore.
Altro caso recentissimo di “vendetta pornografica”, conclusosi, però, con l’assoluzione degli imputati, è stato quello che ha visto protagonisti due giovani frequentatori di un locale a Reggio Emilia i quali, nella notte del 18 novembre 2019, attirati dai gemiti provenienti dal bagno, avevano scorto una coppia di giovani che consumavano un rapporto sessuali e li avevano filmati con l’ausilio di un cellulare. Il video così realizzato era stato poi diffuso, attraverso i social network, ad una notevole platea di individui e caricato su numerose piattaforme web a contenuto pornografico. Perdipiù, nelle immagini diffuse erano nitidamente riconoscibili le persone riprese, la cui notorietà aveva certamente dato ulteriore impulso alla rapida diffusione del video. Ebbene, la Procura aveva mosso ai due giovani autori e diffusori del video una duplica contestazione: da un lato, ai sensi dell’art. 615 bis c.p. per l’interferenza illecita nella vita privata altrui, dall’altro, ai sensi del nuovo articolo 612 ter c.p. per la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.
Il GUP presso il Tribunale di Reggio Emilia, però, ha assolto i due imputati con la più ampia formula liberatoria (“perché il fatto non sussiste”) per entrambi i capi di imputazione. Quanto all’art. 615 bis c.p., è stato osservato che la fattispecie presuppone che la condotta avvenga nei luoghi di privato domicilio altrui, cosa che certamente non è un bagno di un locale notturno aperto al pubblico. Quanto, invece, alla seconda contestazione, pur essendo pacifica la mancanza di consenso degli amanti filmati a loro insaputa, il Tribunale ha ritenuto che non sussista il secondo requisito, ossia che i video o le immagini intime siano “destinati a rimanere privati”; conseguenza di ciò sarebbe che non può sussistere il reato in questione se non vi è una relazione di coppia tra il soggetto raffigurato e quello che diffonde il materiale. È stato affermato che : «ne deriva pertanto che l’inciso “destinati a rimanere privati” conferisca valore penale solo a quelle ipotesi in cui l’invio, la consegna, la cessione, la pubblicazione o la diffusione concernano materiale sessualmente esplicito, precedentemente condiviso o realizzato dalla coppia all’interno del contesto relazionale, realizzati consensualmente in un contesto connotato da reciproca fiducia, per cui al momento della cessazione del rapporto di fiducia stesso, essendo elevato il pericolo di utilizzo del materiale consensualmente realizzato a scopo ritorsivo, il Legislatore ha deciso di introdurre una mirata sanzione per arginare tale fenomeno sociale e prevenire la diffusione di video, o immagini siffatte, soprattutto online» (Trib. Reggio Emilia, Sez. GIP/GUP, 9 novembre 2021, sent. n. 528).
Riassumendo quelli che sono i tratti essenziali del reato da tener presenti, i primi due commi dell’art. 612 ter c.p. puniscono con la medesima sanzione (reclusione da 1 a 6 anni e multa da 5.000 a 15.000 euro) la condotta di colui invia, consegna, cede, pubblica o diffonde in qualsiasi modo immagini o video intimi destinati a rimanere riservati, senza il consenso della persona rappresentata; la differenza risiede nel fatto che il comma 1 punisce il c.d. distributore originario (per intenderci, l’ex fidanzato che, per vendetta, diffonde su un gruppo whatsapp i video intimi girati precedentemente insieme alla sua compagna dopo la cessazione della relazione), ossia colui che produce “di mano propria” il materiale pornografica oppure lo sottrae alla persona raffigurata, mentre il comma 2 punisce il c.d. secondo distributore (ad esempio, l’amico e membro del gruppo whatsapp su cui è stato condiviso il video hard da parte dell’ex fidanzato che inoltra i video su altre chat), ossia colui che divulga materiale pornografico ricevuto da terze persone oppure altrimenti acquisito (ad esempio, scaricandolo dal sito pornografico su è stato pubblicato), purché però via sia anche la finalità specifica di recare nocumento alla persona rappresentata.
In presenza di determinate ipotesi, poi, è previsto un inasprimento della pena. Difatti, il terzo e il quarto comma ritengono il reato aggravato nei seguenti casi:
Il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti è punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 5.000 a 15.000 euro, salvo che sussistano le ipotesi aggravate previste dal terzo e dal quarto comma, che comportano rispettivamente un aumento di un terzo (comma 3) oppure un aumento che va da un terzo alla metà (comma 4).
Il reato in questione si prescrive nel termine di 6 anni, più ¼ in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.
Attenzione, però, perché nell’ipotesi aggravata prevista dal comma 4 (fatti commessi in danno di persona in condizioni di inferiorità fisica o psichica ovvero di una donna in stato di gravidanza) il termine prescrizionale è di 9 anni, cui si aggiunge ¼ per eventuali interruzioni del procedimento, e ciò perché questa è considerata un’autonoma figura di reato e non una semplice aggravante.
Venendo agli aspetti procedurali in materia di “revenge porn”, si tratta di un reato procedibile a querela di parte, ma i termini per proporla sono estesi a 6 mesi. Attenzione, poi, all’ipotesi autonoma di reato prevista dal comma 4 che è procedibile d’ufficio.
La competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto è facoltativo in flagranza di reato, mentre il fermo di indiziato non è consentito.
Sono consentite le misure cautelari e le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, come mezzo di ricerca della prova.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.