In alcuni casi è possibile essere assolti dall’accusa di cui all’art. 186 del c.d.s. di guida in stato di ebbrezza quando non vengono rispettate delle garanzie difensive previste dalla legge.
Questo è stato il caso affrontato dalla Suprema corte di Cassazione nella sentenza richiamata.
Un’automobilista veniva sottoposto sottoposto a prelievo ematico per presso un ospedale dove era stato condotto al fine di verificare l’eventuale guida in stato di ebbrezza.
Gli esami evidenziavano un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l e pertanto veniva inoltrata notizia di reato alla Procura della Repubblica competente per violazione dell’art. 186 del codice della strada.
Il procedimento penale seguiva il suo corso e il Giudice per le indagini preliminari emetteva un decreto penale di condanna dove lo condannava alle sanzioni previste dall’art. 186, comma 2 lett. c) del codice della strada.
L’Avvocato difensore presentava opposizione avverso il decreto penale di condanna entro 15 giorni, chiedendo il giudizio immediato.
Prima della deliberazione della sentenza di primo grado, il difensore proponeva un’eccezione al Giudice chiedendo l’inutilizzabilità dei risultati del prelievo ematico perché si era verificata una nullità c.d. a regime intermedio, in considerazione del fatto che l’automobilista non era stato avvisato, ai sensi dell’art. 114 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, della facoltà di essere assistito dal difensore prima dell’accertamento tramite prelievo ematico che era stato effettuato al di fuori del protocollo di pronto soccorso.
Il Tribunale e la Corte di Appello, ritenevano, tuttavia, che l’eccezione fosse tardiva perché, a loro avviso, doveva essere promossa entro la presentazione dell’atto di opposizione di avverso il decreto penale di condanna e, pertanto, condannavano l’automobilista alle sanzioni previste dall’art. 186, comma 2 lett. c) del codice della strada.
L’Avvocato dell’automobilista presentava ricorso per cassazione lamentando che, in realtà, l’eccezione era stata proposta nei termini, ossia entro la deliberazione della sentenza di primo grado.
La Suprema Corte di cassazione accoglieva le ragioni della difesa e annullava senza rinvio la sentenza di condanna per insussistenza del fatto ritenendo i risultati del prelievo ematico inutilizzabili.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo – Presidente –
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
E.L., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/10/2019 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EUGENIA SERRAO;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, che ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Sassari il 4/12/2018 nei confronti di E.L. per il reato di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. b), commi 2 bis e 2 sexies, commesso in (OMISSIS).
2. E.L. propone ricorso per cassazione deducendo, con un primo motivo, inosservanza o erronea applicazione di legge in quanto il tasso alcolemico è stato misurato con un macchinario le cui revisioni erano avvenute con ritardo rispetto al regolamento dettato con D.M. 22 maggio 1990, n. 196, che prescrive che le verifiche debbano effettuarsi ogni anno.
Con un secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione dell’art. 159 c.p., per avere la Corte erroneamente escluso il decorso del termine di prescrizione includendovi un periodo di sospensione sul presupposto che all’udienza del 10 luglio 2018 il difensore avesse chiesto un rinvio, sebbene il rinvio fosse stato determinato dal mancato deposito di un documento richiesto alla Polizia stradale; soggiunge che l’udienza del 10 luglio 2018 era deputata esclusivamente all’acquisizione di documenti mentre l’udienza successiva era stata fissata sia per l’acquisizione di documenti che per la discussione, senza dunque alcuna alterazione della cadenza procedurale conseguente al precedente rinvio.
3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
4.1. L’assunto di partenza, secondo il quale è onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione, è pienamente condivisibile e trova riscontro nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. 4, n. 38618 del 06/06/2019, Bertossi, Rv. 27718901). Nel caso concreto, tuttavia, la censura è inconferente.
4.2. I giudici di merito hanno correttamente escluso la violazione della prescrizione del disciplinare tecnico che, in applicazione della previsione del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379, comma 8, (regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada) indica i tempi e le modalità di verifica periodica degli etilometri. Si tratta, in particolare, del D.M. Trasporti 22 maggio 1990, n. 196, art. 3, secondo il quale “I singoli apparecchi prima della loro immissione in uso e periodicamente, devono essere sottoposti a verifiche e prove secondo norme e procedure stabilite dal Ministero dei trasporti – Direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione d’intesa con il Ministero della sanità”. La giurisprudenza più recente ha ritenuto che spettasse all’organo della pubblica accusa, nell’ambito della prova della corretta misurazione del tasso alcolemico mediante etilometro, dimostrare la regolarità delle verifiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti per poter essere adoperati. Ed in tal senso si sono orientati i giudici di merito nel caso concreto, avendo messo in evidenza che dal libretto metrologico prodotto in giudizio fosse emersa la prova che l’etilometro era stato sottoposto a verifica, con esito positivo, in data 12 novembre 2013, ossia meno di un anno prima dell’accertamento del reato. La deduzione che la difesa vorrebbe trarre dalla c.d. taratura obbligatoria annuale degli etilometri, ossia che il regolare funzionamento del misuratore possa essere sempre messo in discussione sul mero rilievo formale che dalla data della sua omologazione in poi le verifiche non siano avvenute con esatta cadenza annuale, risulta estranea ad ogni previsione normativa ed alle elementari regole logiche, posto che l’attestazione dell’avvenuta taratura dell’apparecchio è funzionale a dimostrare il suo regolare funzionamento alla data in cui è stato eseguito l’accertamento sul quale è fondata l’ipotesi accusatoria.
4.3. I giudici di merito hanno accertato, con motivazione ineccepibile, che tale prova è stata fornita; la Corte di Appello ha, infatti, precisato che dato dirimente a tal fine dovesse considerarsi la data della verifica eseguita dall’organo competente (Centro Superiore Ricerche e Prove Autoveicolo, c.d. CSRPAD) nell’ultima data precedente l’accertamento del reato, avvenuta il 12 novembre 2013 con esito positivo e, per tale motivo, idonea a dimostrare il corretto funzionamento dell’etilometro.
5. Il secondo motivo è manifestamente infondato, posto che dalla lettura del verbale dell’udienza del 10 luglio 2018, consentita al Collegio in ragione del vizio dedotto, emerge la chiara indicazione che “la difesa chiede rinvio per i medesimi incombenti”, cosicché correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che tale rinvio determinasse la sospensione del termine di prescrizione ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1, n. 3.
Il richiamo alla giurisprudenza della Corte di legittimità in tema di rinvio connesso ad esigenze istruttorie risulta, pertanto, inconferente.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2021