Nell’ultimo decennio, il proliferare delle piattaforme social ha fatto sì che miliardi di persone, anche molto distanti tra loro, potessero entrare in contatto e, tramite il ricorso a pseudonimi, dialogare delle tematiche più disparate, manifestando nel totale anonimato bisogni sessuali che avevano sempre costituito un tabù. La Rete, del resto, presenta caratteristiche tali da renderla un luogo privilegiato di scambio e di conversazione, in cui soddisfare ogni tipo di curiosità, quali:
Ebbene, i professionisti dello Studio si occupano della difesa in giudizio di coloro che vengano accusati o che siano vittime dei reati di detenzione di materiale pedopornografico, anche virtuale, o adescamenti di minori, aiutando gli assistiti a comprendere gli eventuali rilievi penali delle proprie condotte e a difendersi nella maniera più efficace, fornendo una serie di servizi legali utili per la propria tutela personale, quali, ad esempio:
– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;
– investigazioni difensive;
– redazione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari;
– assistenza per tutta la durata del processo;
– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione.
Il reato di detenzione o accesso a materiale pedopornografico è previsto dall’art. 600 quater c.p. e sussiste in tutti quei casi in cui una persona si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori di diciotto anni; ciò anche nel caso in cui il contenuto sessualmente esplicito sia stato prodotto direttamente dal minorenne per sua spontanea volontà (Cass. Pen., sez. III, 11 giugno 2021, n. 36198).
Attenzione, però, a non pensare che ogni caso di possesso virtuale di un file pedopornografico basti di per sé ad integrare il reato in analisi. Affinché ciò sia possibile, infatti, è necessario non solo che l’immagine o il filmato a contenuto sessualmente esplicito siano stati scaricati, anche a pagamento, e trasferiti su un supporto fisico (hard-disk, CD o DVD), ma anche e soprattutto che i medesimi siano consapevolmente detenuti dal soggetto agente, di talché non avrà rilevanza penale la condotta di chi, a seguito della consultazione di un sito Internet erotico, si trovi dei dati automaticamente e temporaneamente salvati sulla memoria cache del computer.
Ancora, valorizzando sempre il profilo della consapevolezza da parte del soggetto agente, la Corte di Cassazione ha altresì stabilito che sussiste il reato di detenzione o accesso a materiale pedopornografico anche in caso di detenzione dei cosiddetti temporany internet files, che si ottengono attraverso visite compiute dall’utente di Internet su siti contenenti materiale pornografico infantile, dato che, in forza di alcuni comandi informatici, talune immagini visualizzate sul monitor, rimangono immagazzinate per un apprezzabile arco temporale nella cartella denominata, per l’appunto, temporany internet files, risultando a tutti gli effetti detenuti dall’utilizzatore; ciò, ovviamente, sempre e comunque a condizione che il detentore abbia avuto la consapevolezza dell’esistenza di file acquisiti nel corso della navigazione su Internet (Cass. Pen., Sez. III, 11 gennaio 2017, n. 20890).
Come recentemente affermato dalla giurisprudenza, inoltre, il reato sussiste anche nel caso in cui le immagini o i video acquisiti sul computer dal soggetto agente non siano immediatamente fruibili perché cancellate o volontariamente accantonate in parti non più facilmente accessibili della memoria elettronica degli strumenti informatici; da ciò deriva che la semplice allocazione dei file nel cestino del sistema operativo del computer non esclude di per sé il reato, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al file, mentre solo per i file definitivamente cancellati potrebbe dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione (Cass. Pen., Sez. III, 03 marzo 2021, n. 24644).
Si tenga presente, poi, che rientra nella nozione di “materiale pedopornografico” ogni tipo di raffigurazione che ritragga non solo organi genitali di un minorenne, ma anche parti intime del medesimo, come ad esempio il seno o i glutei, in quanto comunque volte a soddisfare la concupiscenza del detentore in violazione della libertà sessuale del minore. Perdipiù, la prova che le immagini o i video riproducano effettivamente minori può essere desunta anche solo dai connotati fisici degli adolescenti ritratti e dal prelievo dei file da siti Internet il cui indirizzo URL evochi la minore età o abbia una denominazione riferibile a bambini o a contenuti pedopornografici (Cass. Pen., Sez. III, 2 aprile 2014, n. 20429).
L’introduzione nel 2006 dell’art. 600 quater.1 c.p. ha esteso l’operatività delle fattispecie di pornografia minorile e detenzione di materiale pedopornografico anche all’ipotesi di “pedopornografia virtuale”, ossia quella che ha ad oggetto immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori o parti di esse; da ciò deriva che sussisterà il reato anche se le immagini o i video ritraenti bambini, pur non essendo reali, vengano realizzati con tecniche di elaborazione grafica la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
A tal riguardo, si pensi che la Cassazione ha ritenuto integrato il reato anche in caso di possesso di “fumetti pedopornografici”, soprattutto quando tali comics siano ottenuti con tecnologie digitali di qualità tale da far apparire come vere situazioni e attività sessuali implicanti minori, poiché costoro meritano una tutela rafforzata contro qualsiasi tipo di attività che vada ad incidere sulla loro sfera sessuale. Nel motivare, i giudici hanno chiarito che tutte le condotte aventi ad oggetto materiale pedopornografico, reale o virtuale che sia, sono da considerarsi concretamente pericolose per i minori, in quanto volte a diffondere ed alimentare l’attrazione per manifestazioni di sensualità rivolte al coinvolgimento di minori, ossia di persone che, a cagione della loro minore età, non hanno – non solo per il nostro ordinamento, ma per la comunità internazionale – quella maturità psicologica necessaria ad esprimere un valido consenso né alle attività sessuali in esse rappresentate ed ancor meno a tali rappresentazioni (Cass. Pen., Sez. III, 9 maggio 2017, n.22265).
Posto che i comportamenti perseguiti penalmente ai sensi del primo comma dell’art. 600 quater c.p. sono il procurarsi materiale pedopornografico o il disporne, condotte entrambe riconducibili anche alla Rete, laddove facilmente un soggetto interessato può rintracciare fotografie o comunque sequenze di immagini scaricandole sul proprio computer o semplicemente consultandole online, sorge spontanea la seguente domanda: ma può incorrere in un reato chi si trovi a navigare involontariamente su un sito contenente materiale di tale genere? Mettiamo ad esempio che un adulto si rechi su siti pornografici e suo malgrado incorra in materiale che veda ritratti minori degli anni diciotto. È ciò sufficiente perché questo venga coinvolto e ritenuto responsabile di un reato connesso alla pedofilia?
In tal caso non si dovrebbe poter ritenere applicabile la norma, in quanto proprio il legislatore individua quale elemento essenziale per la perseguibilità la consapevolezza delle condotte incriminate. È ovvio che tale consapevolezza equivale ad una volontà specifica del soggetto agente: un utente che, volendo navigare e cercare magari solo materiale pornografico, si ritrovi senza volontà alcuna a visionare immagini relative allo sfruttamento sessuale dei minori non può dirsi soggetto che in coscienza ha cercato o raggiunto tali immagini. Il consiglio che il malcapitato utente dovrà seguire in casi simili è quello di tutelarsi ed ovviare a possibili coinvolgimenti, adottando una condotta molto rigida, evitando innanzitutto di scaricare materiale (poiché il download può ritenersi attività equivalente alla condotta del “procurarsi” materiale pedopornografico); egli, inoltre, dovrà immediatamente chiudere la sessione sulla quale sta navigando e segnalare il link alla Polizia di Stato (operazione eseguibile online mediante l’invio di posta elettronica contenente i dati di riferimento del sito incriminato, agli indirizzi e-mail che la stessa Polizia di Stato ha reso noti sul proprio sito).
Attenzione, però, perché a partire dal 23 dicembre 2021 è stato introdotto un terzo comma all’originario art. 600 quater c.p., che punisce con la «reclusione fino a due anni e la multa non inferiore a euro 1.000,00 la condotta di chiunque accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato con minori degli anni 18 mediante rete internet o con altri mezzi di comunicazione». Perché si configuri tale nuova ipotesi di reato, quindi, è necessario un accesso intenzionale, ossia finalizzato alla fruizione del materiale pedopornografico, per cui dovrebbe intendersi esclusa ogni condotta finalizzata alla fruizione di materiale pornografico in difetto di consapevolezza, da parte di chi accede al sito internet, della minore o maggiore età delle persone coinvolte.
L’avverbio “intenzionalmente”, infatti, è utilizzato dal legislatore penale con molta parsimonia, ed è, di regola, impiegato per delineare in termini espressamente finalistici ogni azione compiuta dal reo: in altre parole, si richiede la piena consapevolezza, volontà e previsione di ogni elemento della condotta e della fattispecie perché sia integrato il reato.
La locuzione “senza giustificato motivo”, poi, prevede, in maniera implicita, la scriminante per chi, ad esempio, accede a siti contenenti materiale pedopornografico per finalità di indagine penale e, probabilmente, anche con finalità di inchiesta giornalistica.
Mai sostituirsi alle Autorità competenti! Anche qualora ci si trovi a “chattare”, ad esempio, con un soggetto che manifesta proposte ambigue sul poter indirizzare o fornire materiale pedopornografico, non ci si deve lasciar indurre in buona fede a instaurare un rapporto confidenziale al fine di “smascherarlo”: la cosiddetta funzione dell’agente provocatore, cioè colui che si inserisce in un contesto criminale al fine di identificare gli autori dei reati, va infatti lasciata alle Autorità; il rischio, in caso contrario, è quello di ritrovarsi coinvolti in qualità di accusati e non accusatori.
Per comprendere i caratteri essenziali del reato si pensi al caso recentemente esaminato dal Tribunale di Salerno, che ha condannato per adescamento di minorenni (art. 609 undecies c.p.) un uomo che, per diverso tempo, aveva tempestato il cellulare di una ragazzina di appena dieci anni di messaggi a contenuto sessuale, nei quali la invitava nel proprio letto, inviandole altresì immagini dei propri genitali e chiedendole apprezzamenti sugli stessi. L’uomo era stato oltretutto molto insistente, e questo nonostante le continue precisazioni sull’età della bambina (Trib. Salerno, 18 novembre 2021, n. 3503).
Nel caso di specie, come del resto spesso avviene, era stata la madre della bambina a sporgere denuncia dopo che il compagno della donna, guardando lo smartphone della giovane, aveva notato su Whatsapp diversi messaggi espliciti; così, l’uomo, legittimamente insospettito, aveva avviato una conversazione con l’utente fingendo di essere la minore e aveva fatto emergere la realtà dei fatti.
A nulla è valsa la difesa tentata dall’imputato, che aveva rilevato che il reato non sarebbe stato consumato, in quanto i messaggi non erano intercorsi con la minore, bensì con un adulto, e in ogni caso il numero telefonico non era intestato alla bambina, bensì alla madre. A tal riguardo, il Tribunale aveva rilevato l’irrilevanza dell’intestazione dell’utenza telefonica alla madre, poiché in ogni caso un minore non può mai essere intestatario. Inoltre, la dinamica della vicenda, tipica dell’adescamento online, escluderebbe l’ignoranza incolpevole dell’imputato sull’età della vittima, posto che, nel caso di specie, era stato più volte ribadito che la bambina avesse solamente dieci anni. Quanto, poi, al comportamento in sé, il giudice non ha avuto alcun dubbio, in quanto la condotta era chiaramente assistita da foto e filmati espliciti inviati ad una bambina di dieci anni nell’evidente tentativo di carpirne la curiosità e la fiducia al fine di ottenere scambi di contenuti e favori di tipo sessuale.
La norma del codice penale, in parole povere, punisce chiunque instauri un rapporto comunicativo (anche a mezzo Internet) con un soggetto di età inferiore ai diciotto anni, con l’obiettivo di carpirne, mediante il ricorso ad artifizi, lusinghe o minacce, la fiducia e di indurlo alla realizzazione di atti sessuali di persona o anche semplicemente online. Come previsto dall’art. 609 sexies c.p., peraltro, in caso di reato a sfondo sessuale, «il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile»; in altri termini, difendersi affermando di non conoscere l’età della vittima non è, di regola, causa di esclusione della responsabilità penale.
Per altro esempio di adescamento di minorenne si pensi alla recente sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna di un imputato che aveva “conosciuto” sul web una minore con cui aveva intrattenuto delle conversazioni a sfondo sessuale. L’uomo, che aveva chiamato la vittima con vezzeggiativi e l’aveva blandita con lusinghe, le aveva poi chiesto di scaricare degli applicativi per la trasmissione di foto, perché la voleva vedere nuda, cosa che la persona offesa non aveva fatto (Cass. Pen., Sez. III, 9 febbraio 2022, n. 11305).
Il reato in questione è punito con la reclusione fino a 3 anni e con la multa non inferiore a euro 1.549, salva l’ipotesi di aggravamento della pena prevista dall’art. 600 quater, co. 2 c.p. che comporta l’aumento della pena in misura non eccedente i 2/3 ove il materiale pedopornografico detenuto sia di ingente quantità; tale ipotesi sussiste quando si disponga di un numero «molto grande, rilevante o consistente» di immagini pedopornografiche sì da contribuire concretamente ad incrementare il mercato perverso di riferimento (Cass. Pen., Sez. III,31 marzo 2011, n. 17211). A tal riguardo, si fa presente che la Cassazione ha altresì stabilito che anche i file cancellati rientrano nel conteggio dell’ingente quantità (Cass. Pen., Sez. III, 03 marzo 2021, n. 24644).
Attenzione, poi, ad un’altra aggravante del reato di detenzione di materiale pedopornografico prevista dall’art. 602 ter, co. 9 c.p., che prevede lo stesso tipo di aumento fino ai 2/3 se il reato è stato commesso con mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche, ponendo in essere una qualunque azione che eluda le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa. In proposito, la Cassazione ha di recente confermato la condanna di un uomo che aveva scaricato le immagini pedopornografiche dal web, mediante accesso ad apposito link con il sistema TOR, che consente di navigare sui siti pedopornografici senza far comparire il proprio indirizzo IP (Cass. Pen., Sez. III, 07 aprile 2021, n. 18153).
Ancora, come già accennato in precedenza, l’art. 600 quater.1 c.p. punisce anche la c.d. pornografia virtuale, ossia quella che riguarda immagini o video non reali ma creati con strumenti digitali (per esempio, rappresentazioni fumettistiche), ma in tal caso la pena base che va fino a 3 anni è diminuita di 1/3.
In caso di condanna o di patteggiamento per il reato di detenzione di materiale pedopornografico, anche virtuale, si applicano, poi, la confisca di tutto il materiale rinvenuto e le pene accessorie previste dall’art. 600 septies.2 c.p., quali, ad esempio, l’interdizione perpetua dagli uffici attinenti alla tutela, alla curatela o all’amministrazione di sostegno nonché la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa.
Come tutti i reati che attengono alla sfera sessuale, soprattutto se coinvolgono minori, anche l’accesso o la detenzione di materiale pedopornografico è un delitto particolarmente infamante, motivo per cui in caso di contestazione da parte dell’Autorità giudiziaria è bene provvedere immediatamente a costruire una valida strategia difensiva con il proprio legale, per sfuggire a quelle che sono le conseguenze sociali, prima ancora che giuridiche, in caso di condanna per tali reati.
Anzitutto, è opportuno focalizzarsi sempre sul profilo della consapevolezza da parte del detentore circa la natura effettiva del materiale pedopornografico e il fatto stesso che egli ne abbia la disponibilità, anche soltanto virtuale (ad esempio, sul PC). Nel caso in cui l’immagine o il video siano infatti stati scaricati per sbaglio dall’utente in seguito alla visita di altri siti Internet non sussisterà il reato, così come non potrà essere condannato in quanto tale il mero utilizzatore del computer dal quale risultano scaricati i file, posto che in luoghi di accesso al pubblico (ad esempio, uno Studio dentistico o uno Studio legale) non può escludersi che sia stato altro soggetto (un tecnico, l’addetto alle pulizie ecc…) a procurarsi il materiale pedopornografico; ciò, a patto che non vi siano elementi tali da far desumere che a porre in essere la condotta sia stato proprio l’utilizzatore del computer.
Ancora, elemento utile per la difesa al fine di dimostrare la mancanza di volontà da parte dell’imputato di disporre del materiale pedopornografico può essere certamente la cancellazione definitiva dei file dal computer; a tal proposito, si pensi che la terza Sezione penale della Corte di Appello di Roma ha assolto l’imputato dal reato previsto dall’art. 600 quater c.p. sulla base della considerazione secondo cui l’intervenuta cancellazione delle immagini di contenuto pedopornografico acquisite costituisce indice della volontà dell’imputato non già di disporre di dette immagini, bensì di disfarsi di files di contenuto non gradito. Attenzione, però, a pensare che la mera cancellazione dei file possa di per sé bastare ad escludere la responsabilità penale, perché proprio di recente la Cassazione ha confermato la condanna di un uomo presso la cui abitazione era stato rinvenuto un hard disk in cui era stata trovata traccia di file pedopornografici cancellati dal computer in epoca antecedente all’istallazione di una nota applicazione per la cancellazione sicura dei dati “CCleaner”. Da tale circostanza, i giudici di appello avevano ragionevolmente desunto che l’imputato avesse deciso di utilizzare tale sofisticata applicazione proprio al fine di evitare che rimanesse traccia di taluni file che egli deteneva, utilizzava e poi cancellava (Cass. Pen., Sez. III, 19 novembre 2021, n. 3275).
Nel caso in cui dovesse, invece, essere pacifica la consapevolezza circa la detenzione e la natura pedopornografica del materiale rinvenuto, si potrà comunque beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p. oppure della sospensione del procedimento con messa alla prova, anche in caso di aggravamento per ingente quantità di immagini.
Il reato si prescrive nel termine di 12 anni (opera il raddoppiamento dei termini ordinari previsto dall’art. 157, co. 6 c.p.) più ¼ in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 15 anni.
Si fa presente, inoltre, che il termine della prescrizione decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa, salvo che sia stata già esercitata l’azione penale (in tal caso, conterà il momento dell’acquisizione della notizia di reato).
Quanto agli aspetti procedurali, il reato è procedibile d’ufficio.
L’Autorità competente è il Tribunale in composizione monocratica se si tratta del primo comma e il Tribunale collegiale se, invece, sussiste l’ipotesi aggravata di cui al comma 2.
L’arresto in flagranza di reato, anche in caso di pedopornografia virtuale, non è consentito se si tratta dell’ipotesi base prevista dal primo comma, mentre è facoltativo se sussiste l’aggravante dell’ingente quantità prevista dal comma secondo.
Il fermo di indiziato non è consentito.
Sul piano cautelare, è consentita la misura dell’allontanamento dalla casa familiare se il delitto è commesso in danno di un congiunto o di un convivente, mentre sono sempre consentite le misure coercitive nell’ipotesi prevista dal comma 2.
È bene ricordare, infine, che il reato di detenzione di materiale pedopornografico risulta ostativo al c.d. patteggiamento allargato (quello che riguarda i reati puniti con pena in concreto non superiore a 5 anni di reclusione). Sarà quindi accessibile il solo patteggiamento “classico”, ossia quello possibile solo in caso di pena non superiore ai 2 anni.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600 ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a euro 1.549.
La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità.
Fuori dei casi di cui al primo comma, chiunque, mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa non inferiore a euro 1.000.
Le disposizioni di cui agli articoli 600 ter e 600 quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo.
Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni.
Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.