Corruzione per l’esercizio della funzione – Avvocato a Roma

Art. 318 del codice penale

Gli Avvocati penalisti dello Studio si occupano di assistere in sede penale coloro che vengano accusati di corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari ,  peculato, concussione, abuso d’ufficio e altri reati contro la Pubblica Amministrazione, aiutandoli a comprenderne al meglio gli elementi essenziali e a difendersi nella maniera più efficace e fornendo una serie di servizi legali utili all’assistito per la propria salvaguardia personale e patrimoniale, quali ad esempio:

– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;

– investigazioni difensive;

– redazione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari personali e reali;

– assistenza per tutta la durata del processo;

– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione;

– attività difensiva a tutela del patrimonio contro eventuali provvedimenti di confisca di denaro o beni dell’assistito;

– assistenza tecnica nel corso dell’eventuale procedimento disciplinare.

Cos’è la corruzione per l’esercizio della funzione? Chi può commetterla?

La corruzione per l’esercizio della funzione (c.d. “corruzione impropria”, in contrapposizione a quella “propria”, ossia la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) è quel reato commesso, ad esempio, dall’agente della Guardia di Finanza il quale percepisca somme di denaro da soggetti privati interessati ad acquisire informazioni sugli accertamenti fiscali svolti a carico delle loro società, senza che questi debba svolgere atti contrari ai doveri dell’ufficio di appartenenza.

Ancora, sempre con riguardo alle ipotesi di corruzione impropria, si pensi alla condotta del dipendente di un ente concessionario di pubblico servizio di esazione tributi il quale percepisca una somma di denaro da un privato in cambio del sollecito telefonico rivolto a un collega preposto presso un ufficio pubblico alle pratiche relative ai rimborsi fiscali, favorendo così lo “sblocco” delle stesse.

Per un ulteriore esempio di corruzione per l’esercizio della funzione, si riporta anche il caso del parlamentare che accetti la promessa o la dazione di utilità in relazione all’esercizio della sua funzione e, quindi, per il compimento di un atto del proprio ufficio. In tal caso, infatti, a prescindere dal giudizio di conformità o meno del comportamento del parlamentare ai doveri dell’ufficio, la corruzione si configura nel momento in cui si contravviene al divieto di ricevere indebite remunerazioni per l’esercizio dei pubblici poteri, non potendosi peraltro valutare il comportamento del parlamentare sotto il profilo dell’imparzialità e del buon andamento, posto che questi opera con ampi margini di discrezionalità (Cass. Pen., Sez. VI, n. 40347/2018).

La condotta prevista e punita dall’art. 318 del codice penale, pertanto, è quella del pubblico ufficiale che percepisca, per sé o per altri, somme di denaro o altro tipo di utilità che non gli spettano in cambio dell’esercizio della propria pubblica funzione o dei suoi poteri, senza che ciò comporti provvedimenti formali o comportamenti materiali in contrasto con norme giuridiche e istruzioni di servizio o che violino i doveri di fedeltà e imparzialità.

In altre parole, sussiste la fattispecie di corruzione impropria prevista dall’art. 318 c.p. quando l’atto amministrativo è adottato nell’esclusivo interesse della pubblica amministrazione, tanto è vero che, se non fosse corrisposta la somma di denaro da parte del privato, il comportamento del pubblico ufficiale non sarebbe suscettibile di sanzioni né sotto il profilo penale né sotto quello disciplinare (si pensi al funzionario della Motorizzazione civile che percepisca dai privati somme di denaro per accelerare le pratiche di collaudo di automezzi, incrementando il numero dei collaudi rispetto a quello previsto per ogni singola seduta da un ordine di servizio).

Attenzione però, se quello del dipendente pubblico si sostanzia in un vero e proprio “stabile asservimento” delle pubbliche funzioni agli interessi personali di terzi, pur in assenza di atti contrari all’ufficio predefiniti o quantomeno individuabili, si configurerà ugualmente il più grave reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio previsto dall’art. 319 c.p., risultando inevitabilmente compromessa l’imparzialità della Pubblica Amministrazione (Cass. Pen., Sez. VI, n. 15959/2016).

Come rammentato a più riprese dalla Cassazione, infine, affinché si configuri il reato di corruzione, propria o impropria che sia, è sufficiente che ci sia stata accettazione della promessa o ricezione dell’indebita retribuzione da parte del pubblico ufficiale, a nulla rilevando che a ciò abbia fatto o meno seguito l’attività in relazione alla quale la somma è stata elargita o la promessa formulata.

La non punibilità

La legge c.d. “Spazzacorrotti” del 2019 ha introdotto nel codice penale una causa di non punibilità che opera con riguardo ad alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione, tra cui la corruzione in tutte le sue forme, e che è disciplinata dall’art. 323-ter c.p.

Detta norma esclude la punibilità dei fatti di corruzione per coloro che, pur avendo preso parte all’accordo corruttivo, decidano di collaborare con la giustizia denunciando il fenomeno e fornendo indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili. Ciò a patto che sussistano i seguenti presupposti:

– colui che denuncia deve farlo prima di avere notizia che sul proprio conto siano in corso indagini volte ad accertare tali fatti;

– la denuncia deve essere presentata entro e non oltre 4 mesi dal fatto;

– la non punibilità è subordinata alla messa a disposizione dell’utilità percepita dal denunciante o di una somma di denaro equivalente.

Pene previste per la corruzione per l’esercizio della funzione

La corruzione “impropria” è punita con una pena più blanda rispetto alla corruzione “propria” (per un atto contrario ai doveri d’ufficio), che consiste nella reclusione da 3 a 8 anni, cui si aggiunge in caso di condanna (anche in caso di patteggiamento) la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, pene accessorie quali l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’eventuale procedimento disciplinare che potrebbe essere attivato dall’ufficio pubblico di appartenenza.

Si segnala, inoltre, che in caso di condanna è altresì prevista la pena accessoria pecuniaria consistente nel pagamento, da parte del reo, di una somma di denaro in favore dell’amministrazione a titolo di riparazione del danno. Attenzione però, perché la Cassazione ha recentemente stabilito che tale sanzione non si applica in caso di patteggiamento, bensì solo in caso di sentenza di condanna pronunciata a seguito di rito ordinario o abbreviato (Cass. Pen., Sez. VI, n. 12541/2019).

Va detto, infine, che, trattandosi di reato a concorso necessario, la medesima pena prevista per il pubblico ufficiale spetta anche al privato che dà o promette denaro o altra utilità.

Prescrizione del reato di corruzione per l’esercizio della funzione

Il delitto di corruzione “impropria” si prescrive nel termine di 8 anni (pena massima) più la metà in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 12 anni.

Si fa presente, peraltro, che la corruzione è reato a duplice schema (o ad azione frazionata), nel senso che esso si perfeziona già al momento della promessa/accettazione corruttiva, ma il momento consumativo, ovvero quello a decorrere dal qual si calcola il termine prescrizionale, si sposta in avanti nel caso in cui ad essa segua la dazione di denaro o altra utilità; motivo per cui a rilevare ai fini del calcolo della prescrizione sarà il momento dell’ultima dazione.

Il caso della costruzione dello stadio della Roma

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 4486 del 29 gennaio 2019 in merito alla vicenda processuale relativa alla costruzione dello stadio dell’A.S. Roma, che vedeva coinvolti, a vario titolo, imprenditori e funzionari pubblici dell’amministrazione capitolina. Il caso esaminato riguardava un consigliere regionale del Lazio che aveva ricevuto la somma di euro 25.000,00 da un noto imprenditore a fronte del suo asservimento agli interessi di quest’ultimo.

Ebbene, la Cassazione ha ritenuto integrato il reato di corruzione per l’esercizio della funzione in luogo del più grave reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio; ciò sulla base della differente finalità cui è rivolta la dazione. Mentre nel caso dell’art. 318 c.p. la stessa è versata a fronte di un generico svolgimento della funzione, nel caso dell’art. 319 c.p. il pubblico agente si impegna a rilasciare un provvedimento amministrativo specificatamente individuato o, quantomeno, individuabile.

Nelle motivazioni, inoltre, si specifica che la corruzione per l’esercizio della funzione è reato di pericolo, in quanto volto a prevenire la compravendita degli atti di ufficio e a garantire la funzionalità e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione. La corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, al contrario, è reato di danno, poiché la dazione è direttamente connessa al compimento di uno specifico atto contrario agli interessi e alle finalità dell’ufficio: in pratica, l’atto oggetto del mercimonio lede in concreto il bene giuridico protetto, motivo per cui il trattamento sanzionatorio è più severo rispetto al meno grave reato di corruzione per l’esercizio della funzione.

Art. 318 del codice penale

Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da tre a otto anni.

Differenza tra il peculato e il furto

Attenzione a non confondere il concetto di “appropriazione” con quello di “spossessamento-impossessamento”, che si riferisce al diverso delitto di furto: in questo secondo caso, infatti, il soggetto agente acquisisce illegittimamente la disponibilità del bene per poi instaurare sul medesimo la propria esclusiva signoria (si pensi al ladro che sottragga dallo scaffale del supermercato un prodotto e si dia alla fuga eludendo la vigilanza).

Differenza tra il peculato e la truffa

A differenza del peculato, in caso di truffa, il soggetto agente consegue la disponibilità del denaro o della cosa mobile altrui grazie agli artifizi o ai raggiri adoperati in danno della vittima, per cui il potere di fatto sul bene si instaura in maniera illegittima sin dall’origine.

Art. 314 del codice penale

  1. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi.
  2. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
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