Il team legale dello Studio difende i propri assistiti accusati di reati fallimentari di bancarotta fraudolenta ex art. 216 legge fallimentare in tutta Italia grazie alle competenze acquisite nel corso degli anni.
I professionisti dello Studio forniscono consulenza preventiva e assistenza in giudizio a imprenditori e amministratori di società accusati di un reato fallimentare:
bancarotta fraudolenta (art. 216 l. fall.);
la bancarotta semplice (art. 217 l. fall.);
ricorso abusivo al credito (art. 218 l. fall.).
L’assistenza dello Studio riguarderà ogni fase del procedimento.
L’imprenditore o l’amministratore coinvolti saranno difesi sia nella fase cautelare reale contro provvedimenti di sequestro, sia in quella cautelare personale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari ecc…).
La bancarotta fraudolenta è un reato molto grave previsto e punito dall’art. 216 della Legge fallimentare.
L’ordinamento prevede pene molto severe che vanno dalla reclusione (da 3 a 10 anni) all’inabilitazione all’esercizio dell’attività di impresa.
La bancarotta fraudolenta è prevista e punita dall’art. 216 della legge fallimentare.
Il reato di bancarotta fraudolenta è un reato molto grave, punito con la reclusione che può arrivare a 10 anni cui si aggiungono le pene accessorie.
Attenzione: per la punibilità di tale reato è necessario che sia stata già pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento.
Tale reato può essere commesso dall’imprenditore, dai soci, dall’amministratore, dai sindaci, dal direttore generale o dai liquidatori di una società fallita.
Presupposto indispensabile del reato è la dichiarazione di fallimento è
La bancarotta consiste nel “mascherare” i propri beni e tutto il patrimonio al fine di realizzare un’insolvenza nei confronti dei creditori.
Tutto ciò avviene mediante una serie di manovre economiche illecite per nascondere, dissipare, falsificare o dissimulare le proprie disponibilità economiche.
Attenzione: il reato di bancarotta sussiste solo se il mascheramento del patrimonio avviene con lo scopo specifico di recare danno ai creditori sociali.
Varie sono le condotte che possono configurare questo reato, a seconda della specifica tipologia di bancarotta che viene realizzata.
In parole povere, questa sussiste quando l’imprenditore tiene una contabilità sociale falsa o gravemente imprecisa oppure omette totalmente di tenere le scritture contabili.
In ogni caso, il reato sussiste solo se c’è l’intento fraudolento, ossia il dolo specifico, da parte dell’imprenditore: è necessario che vi sia lo scopo di ottenere un vantaggio per sé e un danno ai creditori.
Condotte del genere vengono sanzionate in quanto rendono impossibile ricostruire il patrimonio attivo del debitore.
La bancarotta patrimoniale si ha quando l’imprenditore o l’amministratore distraggono, occultano o dissipano volutamente il patrimonio sociale.
Come per la bancarotta documentale, anche in questo caso è necessario che si agisca col dolo specifico di danneggiare i creditori sociali.
Tali condotte vanno a vanificare ogni utilità per i creditori, riducendo o addirittura dissolvendo il patrimonio sul quale essi dovrebbero rivalersi.
Tale reato è previsto dal comma 3 dell’art. 216 ed è punito in maniera più lieve rispetto agli altri tipi di bancarotta fraudolenta già descritti.
Realizza bancarotta preferenziale l’imprenditore che esegue pagamenti o simula titoli di prelazione al fine di favorire il soddisfacimento di alcuni creditori a discapito di altri.
Tale condotta viola il principio di parità fra i creditori, in quanto vengono soddisfatti determinati creditori senza che questi abbiano alcun diritto di prelazione.
In ottica difensiva, si tenga presente che l’accusato può essere in tal caso assolto per particolare tenuità del fatto. Ciò, ovviamente, qualora l’offesa sia tenue e il comportamento non sia abituale (art. 131 bis c.p.).
I soggetti attivi del reato di bancarotta fraudolenta possono essere i seguenti:
Si può essere assolti dall’accusa di bancarotta fraudolenta?
Ebbene sì, in molti casi è possibile.
Di seguito riporteremo alcune sentenze di assoluzione dalla bancarotta fraudolenta.
Il Tribunale di Cassino, con sentenza n. 725 del 2021, ha assolto l’amministratore di diritto di una società dal reato di bancarotta fraudolenta.
I giudici, infatti, hanno ritenuto provata la totale estraneità dello stesso alla concreta gestione della società nonché l’assenza di certezza circa la sua consapevolezza dell’attività distrattiva posta in essere dell’amministratore di fatto.
La Cassazione, con sentenza n. 18271 del 2019, ha assolto dalle accuse di bancarotta fraudolenta un imprenditore che non tiene la contabilità per pagare il pizzo alla mafia.
Nel caso di specie, la contestata omissione della tenuta delle scritture contabili si era verificata nel periodo in cui l’imputato era assoggettato a pretese estorsive di matrice mafiosa e aveva perso la disponibilità di accedere ai locali aziendali.
Il GUP presso il Tribunale di Frosinone, con sentenza n. 48 del 2018, ha emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti dei due imputati del reato di bancarotta fraudolenta perché il fatto “non costituisce reato”.
Nel caso di specie, la Procura contestava agli imputati di aver distratto e occultato alcune somme di denaro ricavate dalla vendita sottocosto di alcuni prodotti da parte della società fallita, omettendone la consegna al curatore.
Ai due imputati si contestava, altresì, di aver sottratto e distrutto le scritture contabili della società, omettendone la consegna al curatore. Il tutto al fine di recare pregiudizio ai creditori (bancarotta documentale).
Ebbene, il Giudice dell’udienza preliminare ha accolto la prospettazione della difesa, ritenendo che gli imputati non hanno agito con lo scopo di procurarsi un ingiusto vantaggio recando danno ai creditori, pur avendo operato una gestione rivedibile e formalmente non corretta della contabilità aziendale.
La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 221 del 2016, ha affermato che non si configura il reato di bancarotta fraudolenta se manca la prova della condotta finalizzata a dissimulare lo stato di insolvenza.
La bancarotta semplice è una fattispecie di reato residuale rispetto a quella fraudolenta, per cui opera solo fuori dalle ipotesi previste dall’art. 216.
L’articolo che se ne occupa è il 217 della legge fallimentare.
Sinteticamente, possiamo dire che l’imprenditore fallito risponde di bancarotta semplice se:
usa il patrimonio per effettuare acquisti personali troppo costosi in base alle possibilità economiche;
sperpera il proprio patrimonio in acquisti manifestamente imprudenti;
realizza operazioni molto imprudenti pur di ritardare il fallimento, peggiorando così la situazione;
aggrava il proprio dissesto, omettendo di richiedere la dichiarazione di fallimento;
non soddisfa le obbligazioni assunte nel corso di un precedente concordato preventivo o fallimentare o non tiene le scritture contabili o, comunque, esse risultano irregolari e incomplete con riferimenti ai 3 anni precedenti.
La differenza rispetto alla bancarotta fraudolenta è che in quella semplice non rileva che l’imprenditore abbia agito con dolo o colpa.
Ciò che rileva in questo caso è il semplice fatto di creare “danni” sperperando in maniera incauta il patrimonio sociale.
Una gestione temeraria che sperpera il denaro aziendale, che dovrebbe essere utile per saldare i debiti, non è mai tollerata dalla legge.
Mettiamo il caso, ad esempio, che il figlio viziato di un ricco imprenditore si trovi improvvisamente a capo dell’azienda a causa della morte del padre.
Ebbene, risponderà di bancarotta semplice nel caso in cui comprometta il patrimonio sociale acquistando auto di lusso o effettuando viaggi costosissimi. Ciò, a prescindere dalla volontà del ragazzo di danneggiare i creditori della società.
Qualora la condotta non risulti abituale, l’accusato può essere assolto ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale; ciò, quando le modalità della condotta e l’esiguità del danno fanno sì che il fatto sia considerato particolarmente tenue.
Le pene previste dalla legge fallimentare con diverse a seconda che si tratti di bancarotta fraudolenta o di bancarotta semplice.
La bancarotta fraudolenta è punita con la reclusione da 3 a 10 anni.
Attenzione: una pena più lieve, ossia la reclusione da 1 a 5 anni, è prevista nell’ipotesi di bancarotta preferenziale.
Per la bancarotta semplice La pena è più lieve: essa va da 6 mesi a 2 anni di reclusione.
Le sanzioni accessorie
Tanto per la bancarotta fraudolenta quanto per quella semplice, sono previste pene accessorie in caso di condanna:
Attenuanti e aggravanti
L’art. 219 l. fall. prevede che sia la bancarotta semplice e che la bancarotta fraudolenta sono aggravate, con aumento di pena fino alla metà, se hanno prodotto un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Le pene sono, invece, aumentate di 1/3 se:
La pena, infine, è ridotta fino a 1/3 se i reati commessi hanno prodotto un danno patrimoniale particolarmente tenue.
La confisca è una misura di sicurezza patrimoniale prevista dall’art. 240 del codice penale.
Essa consiste nell’appropriazione coattiva da parte dello Stato di cose, mobili o immobili, a vario titolo connesse con il reato:
cose che servirono o furono destinate a commettere il reato (ad esempio, l’automobile utilizzata per una rapina);
cose che rappresentano il prodotto, il profitto o il prezzo del reato.
In ogni caso, il presupposto per la confisca è la pericolosità oggettiva della cosa, la cui apprensione mira a prevenire la commissione di nuovi reati.
Attenzione, infine: non sono confiscabili le cose appartenenti a persone estranee al reato.
Il profitto consiste nel vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione della bancarotta.
Ebbene, il profitto va circoscritto al passivo della società, per cui non può essere oggetto di confisca la somma eccedente il passivo fallimentare.
Spesso accade che i beni considerati profitto della bancarotta e oggetto del sequestro preventivo vengano poi confiscati al termine del processo.
Attenzione, però: recentemente la Cassazione ha affermato che spetta al giudice quantificare con esattezza il profitto del reato (Cass. Pen., Sez. V, 26 ottobre 2022, n. 40429).
Quando il sequestro presentivo risulta finalizzato alla confisca, è necessario individuare “l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario” conseguito dal presunto autore dell’illecito, altrimenti il provvedimento non rispetta il principio di proporzionalità.
Il Giudice ricorre alla confisca per equivalente quando risulta impossibile apprendere direttamente i beni che sono prezzo o profitto del reato.
In tali ipotesi, vengono confiscati denaro o beni in misura proporzionale al prezzo o al profitto del reato.
La Cassazione ha recentemente affermato che non può essere disposto il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, sui beni personali dell’amministratore della società fallita quando il provento dell’attività distrattiva sia andato a vantaggio di terzi estranei (Cass. Pen., Sez. V, 16 gennaio 2020, n.13830).
La bancarotta impropria è quella commessa da soggetti diversi dall’imprenditore o dai soci, ma che comunque hanno un ruolo specifico nella società.
Ne rispondono gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori delle società dichiarate fallite che commettono fatti di bancarotta.
Gli artt. 223 e 224 l. fall., infatti, prevedono le stesse pene della bancarotta fraudolenta o di quella semplice, a seconda dei casi.
Con sentenza del 20 gennaio 2023, la Cassazione ha affermato che l’amministratore di fatto è responsabile solo con la prova dello svolgimento di funzioni direttive.
È necessario, peraltro, che l’accusa produca prove significative e concludenti dell’attività svolta in una delle fasi dell’impresa.
L’amministratore di fatto, dunque, può essere condannato solo se ha svolto funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività imprenditoriale (Cass. penale, 20 gennaio 2023, n. 2502).
Ai fini della qualifica di amministratore di fatto, può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo: ad esempio, la decisione, cui l’amministratore formale si sottometta, di interrompere l’attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.
In ogni caso, siffatta circostanza deve essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio dalla Procura.
Da premettere che il reato di bancarotta documentale è reato proprio dell’amministratore di diritto.
Questi, tuttavia, non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla cessazione della carica.
Unica eccezione è prevista nel caso in cui venga provato che egli ha continuato ad ingerirsi di fatto nell’amministrazione della società, anche semplicemente collaborando nelle condotte illecite del nuovo amministratore (Cass. pen., n. 15988/2019).
In materia di bancarotta semplice documentale, si è pronunciata la Cassazione nel 2022 (Cass. Pen., Sez. V, 24 ottobre 2022, n. 45044).
L’amministratore della società può conservare i dati in forma digitale, ma deve sempre adottare determinate accortezze:
È, dunque, compito dell’amministratore prevenire l’eventuale malfunzionamento del dispositivo nel quale vengono tenuti i libri contabili. Ciò, eventualmente, predisponendo anche modalità alternative o concorrenti di conservazione (stampa cartacea, backup su autonomo supporto).
La bancarotta fraudolenta si prescrive nel termine di 10 anni, che può aumentare fino a 1/4 in caso di eventi interruttivi della prescrizione. Totale: 12 anni e 6 mesi.
Quanto alla sola ipotesi di bancarotta referenziale prevista dal terzo comma, il termine di prescrizione è di 6 mesi, che aumentano in caso di interruzioni.
La bancarotta semplice si prescrive nel termine di 6 anni, che possono aumentare fino a 1/4 in caso di eventi interruttivi della prescrizione. Totale: 7 anni e 6 mesi.
Sia la bancarotta fraudolenta che quella semplice sono procedibili d’ufficio.
La competenza spetta al Tribunale in composizione collegiale nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta. Sulla bancarotta semplice, invece, decide il Tribunale monocratico.
In caso di bancarotta fraudolenta, l’arresto è facoltativo in flagranza e il fermo è consentito, ad eccezione dell’ipotesi di bancarotta preferenziale.
Quanto, invece, alla bancarotta semplice, l’arresto e il fermo non sono consentiti.
Le misure cautelari sono consentite in caso di bancarotta fraudolenta, ma non in caso di bancarotta semplice.
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni sono consentite solo per la bancarotta fraudolenta, ad esclusione dell’ipotesi preferenziale.
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:
1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica
2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;
5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale [28 ss. c.p.], la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.
La legge fallimentare prevede anni di carcere e sanzioni accessorie a carico di chi venga condannato per bancarotta fraudolenta.
È prevista la reclusione da 3 a 10 anni in caso di bancarotta patrimoniale o documentale, mentre in caso di bancarotta preferenziale la reclusione va da 1 a 5 anni.
Il fallimento discende sempre da una sentenza dichiarativa emessa dal Tribunale del luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale.
Tale provvedimento ha due funzioni: accertare l’insolvenza dell’imprenditore e fare in modo che le pretese dei creditori abbiano un’adeguata tutela nonostante la criticità della situazione economica.
La bancarotta semplice avviene quando vengono posti in essere dall’imprenditore o dagli amministratori della società comportamenti imprudenti, provocando dei danni a chi ha il diritto di recuperare il proprio credito.
A differenza della bancarotta fraudolenta, però, tutto ciò viene fatto in modo non intenzionale e non con la volontà di danneggiare i creditori.