Gli avvocati penalisti dello Studio difendono i propri assistiti accusati di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 216 legge fallimentare o di altri reati fallimentari in tutta Italia grazie alle competenze acquisite nel corso degli anni.
La bancarotta fraudolenta è un reato molto grave previsto e punito dall’art. 216 del R.D. 16 marzo 1942 (Legge fallimentare).
Presupposto del reato è la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale, senza la quale non può esserci bancarotta.
La sentenza viene emessa quando si accerta l’impossibilità di ripagare i debiti della società e la situazione debitoria complessiva.
A questo punto, si apre la procedura concorsuale liquidatoria che va ad interessare il patrimonio dell’imprenditore insolvente allo scopo di soddisfare i creditori.
Realizza la bancarotta fraudolenta ex art. 216 legge fallimentare l’imprenditore fallito che “maschera” i propri beni e tutto il suo patrimonio al fine di danneggiare i creditori della società.
Ciò avviene mediante una serie attività economiche illecite volte a nascondere, dissipare, falsificare o dissimulare le proprie disponibilità economiche (bancarotta patrimoniale).
In alternativa, la bancarotta fraudolenta può essere realizzata anche omettendo di tenere le scritture contabili oppure falsificandole (bancarotta documentale).
Caso particolare è quello della c.d. bancarotta preferenziale, prevista dal terzo comma dell’art. 216. In tale ipotesi, l’imprenditore agisce allo scopo di favorire alcuni creditori a discapito di altri e la pena è sensibilmente più tenue.
Vari sono i soggetti che possono commettere il reato di bancarotta fraudolenta:
Le pene previste dall’ordinamento per la bancarotta fraudolenta sono molto severe.
L’art. 216 prevede la pena della reclusione da 3 a 10 anni, salvo il caso di bancarotta “preferenziale” previsto dal terzo comma, che è punti con la reclusione da 1 a 5 anni.
In caso di condanna, poi, vi possono essere le sanzioni accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Di seguito le ultime sentenze in materia di bancarotta
L’amministratore di fatto è responsabile solo se l’accusa riesce a provare da parte sua l’effettivo svolgimento di funzioni direttive, producendo prove significative e concludenti dell’attività svolta in una delle fasi dell’impresa: fase organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività imprenditoriale
Ai fini della qualifica di amministratore di fatto, può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo: ad esempio, la decisione, cui l’amministratore formale si sottometta, di interrompere l’attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.
Spetta al giudice quantificare con esattezza il profitto del reato da sottoporre a confisca.
La Cassazione ha affermato che, quando il sequestro presentivo risulta finalizzato alla confisca, è necessario individuare “l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario” conseguito dal presunto autore dell’illecito, altrimenti il provvedimento non rispetta il principio di proporzionalità.
L’art. 2215 bis c.c. consente all’amministratore della società di tenere i libri, i repertori, le scritture e la documentazione con strumenti informatici, ma, al contempo, non lo esime dall’adottare determinate accortezze:
In altre parole, è compito dell’amministratore prevenire l’eventuale malfunzionamento del dispositivo nel quale vengono tenuti i libri contabili. Ciò, eventualmente, predisponendo anche modalità alternative o concorrenti di conservazione (stampa cartacea, backup su autonomo supporto).
L’imputato del reato di bancarotta fraudolenta ex art. 216 legge fallimentare va assolto se non ha agito con lo scopo di danneggiare i creditori sociale.
In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la prova della volontà di recare pregiudizio ai creditori e di ricavare un ingiusto profitto deve essere desunta da elementi chiari e univoci.
Per esempio, costituiscono prova comportamenti tipo: sottrarsi ad ogni contatto con il curatore, per evitare la consegna delle scritture contabili o ammetterne la mancata istituzione; vendere un immobile a mezzo scrittura privata non trascritta, sottraendolo così alla massa fallimentare.
Non è punibile per il reato di bancarotta documentale l’ex amministratore di una società fallita che, in epoca successiva alla dismissione della carica, non pone in essere alcuna condotta gestoria.
Già precedentemente, in un’altra importante pronuncia, la Cassazione aveva affermato che l’amministratore di diritto non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla cessazione della carica (Cass. Pen., n. 15988/2019).
Unica eccezione è prevista nel caso in cui venga provato che egli ha continuato ad ingerirsi di fatto nell’amministrazione della società, anche semplicemente collaborando nelle condotte illecite del nuovo amministratore.
Nel caso affrontato nel 2019, peraltro, la Cassazione aveva individuato come momento della cessione della carica quello in cui si verifica una scissione nei rapporti gestori, che specularmente si riflette anche ai fini della responsabilità penale: da ciò deriva che dei fatti di reato successivi risponderà solo il successore, cessionario delle quote.
In tema di bancarotta fraudolenta distrattiva ex art. 216 legge fallimentare, si ha pluralità di reati laddove le singole condotte siano distinte sul piano ontologico, psicologico e funzionale e abbiano ad oggetto beni specifici differenti.
Nel caso di specie, la Cassazione ha affermato non si ha pluralità di reati nel caso in cui le condotte previste dall’ art. 216 l. fall., realizzate con più atti, siano tra loro omogenee, perché lesive del medesimo bene giuridico e temporalmente contigue.
L’amministratore di diritto non può essere ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per la sola carica ricoperta.
È necessario, infatti, che egli sia stato effettivamente consapevole dello stato delle scritture private, tale da impedire la ricostruzione del movimento di affari.
Sempre recente un’altra pronuncia di assoluzione del Tribunale di Cassino per via della totale estraneità dell’amministratore formale rispetto alla concreta gestione della società e alle attività distrattive poste in essere a sua insaputa dall’amministratore di fatto (sentenza n. 725 del 2021).
Non c’è bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 legge fallimentare quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari della società sia possibile anche solo mediante l’utilizzo della contabilità ufficiosa fornita dal fallito, senza necessità di ricorrere a documentazione esterna, pubblica o privata.
Va assolto dal reato di bancarotta il semplice socio di una società se manca la prova della sua concreta partecipazione, anche solo omissiva, alle condotte distrattive poste in essere dagli amministratori.
L’imputato del reato di bancarotta fraudolenta va assolto se non vi è prova dell’illecita destinazione impressa alla liquidità della società da parte dell’amministratore.
L’imputato del reato di bancarotta fraudolenta va assolto se non vi è prova dell’illecita destinazione impressa alla liquidità della società da parte dell’amministratore.
Il profitto consiste nel vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione della bancarotta.
Ebbene, il profitto va circoscritto al passivo della società, per cui non può essere oggetto di confisca la somma eccedente il passivo fallimentare.
Il sindaco può essere ritenuto responsabile per bancarotta fraudolenta solo se ha dato un consapevolmente un contributo giuridicamente rilevante al dissesto della società e alle attività distrattive realizzate dall’amministratore.
In altre parole, non è sufficiente che questi sia stato imprudente o negligente rispetto ai suoi doveri di vigilanza e di intervento.
Non costituisce bancarotta fraudolenta l’atto di disposizione di beni mai entrati nel patrimonio dell’imprenditore, perché a lui pervenuti attraverso un negozio giuridico non idoneo a trasferire la proprietà.
Nel caso di specie, la Cassazione ha chiarito che non sono beni dell’imprenditore quelli che sono nella sua limitata disponibilità, per averli egli ricevuti, ad esempio, in locazione, in comodato o in deposito.
Risponde di bancarotta preferenziale e non del più grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l’amministratore che ottiene in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto (ad esempio, compensi o rimborsi spesa) una somma congrua rispetto al lavoro prestato.
L’amministratore, infatti, se creditore della società, ha diritto ad un congruo compenso per la sua attività, per cui l’autoliquidazione di somme proprie a proprio favore altera la par condicio creditorum, ma non depaupera la società.
Con sentenza del 20 gennaio 2023, la Cassazione ha affermato che l’amministratore di fatto è responsabile solo con la prova dello svolgimento di funzioni direttive.
È necessario, peraltro, che l’accusa produca prove significative e concludenti dell’attività svolta in una delle fasi dell’impresa.
L’amministratore di fatto, dunque, può essere condannato solo se ha svolto funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività imprenditoriale (Cass. penale, 20 gennaio 2023, n. 2502).
Ai fini della qualifica di amministratore di fatto, può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo: ad esempio, la decisione, cui l’amministratore formale si sottometta, di interrompere l’attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.
In ogni caso, siffatta circostanza deve essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio dalla Procura.
Se sei un imprenditore fallito o un amministratore di una società fallita e temi di poter essere accusato di bancarotta fraudolenta oppure hai ricevuto un avviso di conclusione delle indagini preliminari dal quale emerge che risulti indagato per bancarotta, devi necessariamente affidarti ad un buon Avvocato penalista esperto in materia fallimentare.
Gli Avvocati penalisti dello Studio si occupano di bancarotta fraudolenta e di tutti i reati previsti dalla Legge fallimentare del 1942.
L’assistenza che lo Studio mette a disposizione degli assistiti riguarda ogni fase del procedimento ed è finalizzata a garantire a coloro che vengano accusati di bancarotta fraudolenta la piena tutela sia sotto il profilo personale che patrimoniale contro provvedimento di sequestro dei beni.
Se sei accusato di bancarotta fraudolenta, dovresti cercare immediatamente assistenza legale da un avvocato specializzato in diritto fallimentare. L’avvocato ti guiderà attraverso il processo legale, ti aiuterà a comprendere le tue opzioni difensive e rappresenterà i tuoi interessi in tribunale.
Alcune possibili difese potrebbero includere dimostrare che non c’era un’intenzione dolosa di nascondere il patrimonio, che non c’è sufficiente prova dell’atto materiale o che il collegamento causale tra l’atto e l’insolvenza non è stato stabilito.