Il team legale dello Studio difende i propri assistiti accusati del reato di cui all’art 2 del dlgs 74 2000, omessa dichiarazione dei redditi o di altri reati tributari in tutta Italia grazie alle competenze acquisite nel corso degli anni.
Va detto, innanzitutto, che la difesa nel campo dei reati tributari è complessa per tutta una serie di ragioni: senza dilungarsi, si pensi alle pene edittali di alcuni reati tributari, davvero molto significative, e si pensi altresì agli aspetti concernenti i sequestri in fase di indagini e successivamente le confische, anche per equivalente.
Ebbene, la complessità della materia impone di scegliere con molta attenzione il proprio difensore!
Sinteticamente, i servizi legali forniti dallo Studio in caso di reati tributari sono i seguenti:
Il reato di uso di fatture per operazioni inesistenti previsto dall’art. 2 del Decreto legislativo n. 74 del 2000 onsiste nel presentare una dichiarazione fraudolenta sulla base di fatture false/inesistenti o di falsa documentazione in genere.
Il contribuente, in pratica, altera la documentazione fiscale al fine di fornire una falsa rappresentazione contabile della situazione tributaria, evadendo così le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Il reato di uso di fatture inesistenti è punito con la reclusione da 4 a 8 anni.
Alla pena principale possono aggiungersi pene accessorie, come le interdizioni, nonché la confisca dei proventi del reato.
Ogniqualvolta viene utilizzata una fattura falsa, una società o un lavoratore autonomo paga, in sostanza, meno tasse alla fine dell’anno nella propria dichiarazione dei redditi.
Perché? Perché attraverso queste operazioni fittizie nella contabilità aziendale vengono annotati costi più alti e dichiarati utili complessivi più bassi rispetto a quelli effettivamente realizzati!
Si pensi al caso della società Alfa che emetta una fattura di 50.000 euro verso la società Beta per un’operazione in realtà mai avvenuta; ad esempio, per l’erogazione di un servizio di vigilanza notturna che in realtà non è mai stato erogato alla società Alfa.
In tal caso, può parlarsi di operazione oggettivamente inesistente.
I professionisti dello Studio forniscono consulenza e assistenza in giudizio a tutti coloro che siano accusati del reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Un Avvocato penalista si occuperà di seguirti e di fare tutti i dovuti controlli presso il Tribunale per avere notizie sul tuo procedimento.
Una volta acquisito il fascicolo delle indagini, a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, si entrerà nel vivo dell’attività difensiva.
Il tuo Avvocato, infatti, si confronterà con le risultanze accusatorie desumibili dall’operato della Guardia di Finanza in sede di accessi, ispezioni e verifiche o dall’operato delle Agenzie delle Entrate e dei loro funzionari accertatori.
A questo punto, verrà valutata la possibilità di esercitare una delle facoltà concesse all’indagato nei 20 giorni successivi all’avviso di conclusione indagini:
Nel caso in cui nessuna delle attività difensive dovesse sorbire gli effetti sperati, verrà fissata l’udienza preliminare e avrà inizio il processo vero e proprio.
Nel caso in cui dovesse essere disposto il sequestro di beni o di attività commerciali, gli Avvocati dello Studio provvederanno ad impugnare il provvedimento.
Il mezzo di impugnazione è quello del riesame reale, da proporre entro 10 giorni dalla data di esecuzione dell’ordinanza che ha disposto il sequestro.
In tale sede si chiederà la revoca del provvedimento di sequestro e la restituzione delle cose sequestrate. In caso di rigetto del riesame, si potrà ricorrere in Cassazione.
Il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 può essere commesso da una vasta gamma di soggetti.
Soggetto attivo del reato può essere, infatti, colui che sia contribuente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA. Il reato potrà, altresì, essere commesso da un amministratore, liquidatore o rappresentante del contribuente soggetto a imposizione.
L’ambito dei soggetti che possono rispondere del reato comprende anche i titolari di redditi di lavoro dipendente, di terreni, di fabbricati o comunque di entrate non soggette all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, bensì soltanto all’obbligatoria presentazione della dichiarazione annuale.
Il delitto di dichiarazione fraudolenta a mezzo dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti si consuma nel momento in cui viene presentata la dichiarazione annuale dei redditi nella quale sono effettivamente inseriti gli elementi contabili fittizi.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 27 del 2000.
In pratica perché si configuri il reato è necessario siano posti in essere due comportamenti diversi:
Da quanto detto deriva che anche il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla presentazione della dichiarazione fiscale, non dall’emissione della fattura.
La mera predisposizione o la registrazione di una fattura per operazioni inesistenti è un fatto meramente preparatorio, in sé non punibile nemmeno a titolo di tentativo.
Ebbene, per la configurazione del reato non è sufficiente riscontrare in contabilità l’esistenza di una fattura per operazioni inesistenti.
È necessario, infatti, che la dichiarazione fiscale poi presentata risenta in concreto di quel valore inesistente (Cass. Pen., Sez. III, 2 dicembre 2015, n. 51027).
L’inesistenza delle operazioni può essere oggettiva o soggettiva, anche se poi a livello sanzionatorio la pena è la medesima in entrambi i casi.
Un’operazione è considerata oggettivamente inesistente in due ipotesi:
Ebbene, quanto all’inesistenza relativa, la Cassazione ritiene sussistente il reato anche nei casi di sovrafatturazione qualitativa: essa si ha quando la fattura attesti la cessione di beni o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli realmente forniti.
La falsità delle fatture ha, invece, carattere soggettivo quando l’operazione è stata effettivamente realizzata, ma tra soggetti diversi da quelli figuranti sulla fattura stessa come parti del rapporto.
Ciò, in quanto anche la falsa indicazione dell’emittente e/o del destinatario permette all’utilizzatore di portare in deduzione costi effettivamente sostenuti e, tuttavia, non documentati o non documentabili ufficialmente per varie ragioni.
Il dolo richiesto è il dolo specifico.
In altre parole, non basta che vengano inserite nella dichiarazione fiscale presentata delle fatture fittizie.
È necessario anche che tale operazione venga realizzata con lo scopo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di conseguire l’indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta.
Un esempio
Mettiamo il caso mettiamo il caso che una persona presenti una dichiarazione dei redditi contenente fatture per operazioni inesistenti. Mattiamo il caso, però, che non lo faccia al fine di evadere le imposte, ma al fine di occultare dazioni illecite di denaro (ad esempio, tangenti).
Ebbene, in tal caso non si riterrebbe integrato il reato di uso di fatture per operazioni inesistenti previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Nei casi di inesistenza soggettiva delle operazioni, il dolo di evasione richiede una specifica consapevolezza (Cass. Pen., sez. III, 11 dicembre 2015, n. 19012).
È necessaria la consapevolezza, in chi utilizza la fattura in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo così un indebito vantaggio fiscale in quanto l’IVA versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima.
Adesso soffermiamoci sulle principali strategie difensive in caso di contestazione dell’art. 2 dlgs 74 2000
Cosa accade se non è stato acquisito agli atti il corpo del reato, ossia le fatture o i documenti asseritamente falsi?
Ebbene, se mancano riscontri oggettivi da cui desumere l’inesistenza delle operazioni e l’utilizzo delle fatture fittizie, l’imputato va assolto!
La Cassazione ha stabilito, infatti, la mera comunicazione delle fatture all’Agenzia delle entrate mediante “spesometro” non è idonea a provare anche l’utilizzo di dette fatture in dichiarazione (Cass. Pen., sez. III, 21 settembre 2021, n. 35678).
Come difendersi se le operazioni contestate come oggettivamente inesistenti sono in realtà state realizzate?
Ebbene, in tal caso va provata l’effettività delle operazioni, facendo ricorso a testimoni e/o consulenti tecnici.
In particolare, va dimostrato l’avvenuto pagamento del prezzo o del corrispettivo della cessione di beni o prestazioni di servizio.
A tal fine, bisogna reperire la documentazione che attesta l’avvenuto trasporto e consegna in caso di cessione di beni nonché la congruità del prezzo pagato. Per esempio, si può produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa col prestatore del servizio oppure assegni o bonifici bancari, fotografie o copia di documenti di trasporto della merce.
Come fare se le operazioni di cui alle fatture sono contestate come soggettivamente inesistenti?
In tal caso, va dimostrato che il soggetto emittente le fatture è l’effettivo cedente del bene o prestatore di servizi.
L’ipotesi più comune è quella delle c.d. “frodi carosello”. Di cosa si tratta?
Si tratta di una serie di operazioni finalizzate ad evadere l’IVA mediante un meccanismo ben congegnato di passaggi di merce tra varie società di diversi Stati.
In pratica, nell’ambito del rapporto tra un fornitore di merce non imponibile ai fini dell’IVA ed un cessionario effettivo, si verifica l’interposizione di una o più società fittizie le quali, incassata l’IVA, generalmente spariscono omettendo il versamento.
Ebbene, l’esperienza maturata in materia di reati fiscali insegna che non è facile confutare la fittizietà dei soggetti interposti nell’ambito di una frode carosello. Quello che, però, si può fare per discolparsi è:
Cosa fare se l’accusa contesta il reato sulla base della non congruità del prezzo pagato rispetto al valore del bene ceduto o del servizio prestato?
Se viene dimostrato che la prestazione è stata realizzata, il reato non può mai sussistere sulla base della mera non congruità del corrispettivo!
Più volte la Cassazione ha infatti affermato che la congruità dell’operazione non rientra nella previsione dell’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 (Cass. Pen., Sez. III, n. 1464/2016).
Qualora il fatto di reato risulti difficilmente contestabile in quanto documentato dagli atti, si potrà comunque sostenere il difetto dell’elemento soggettivo.
Infatti, se l’utilizzazione delle fatture fittizie è avvenuta senza il fine di evadere le imposte, si potrà formulare una richiesta di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”.
A tal proposito, la difesa punterà a dimostrare che la natura fraudolenta dell’operazione non era nota all’imputato, che non avrebbe potuto conoscerla neppure nel caso in cui avesse utilizzato la normale diligenza.
Il nostro ordinamento, infatti, tutela l’attività imprenditoriale e pone a carico dell’accusa l’onere di provare che l’imprenditore era a conoscenza della frode ed ha agito allo scopo di evadere le imposte. Se così non fosse, gli imprenditori sarebbero eccessivamente timorosi e potrebbero essere indotti a non rischiare, decidendo di non concludere molti affari (Cass. Pen., Sez. VI, 12 ottobre 2021, n. 27745).
L’art. 13, comma 2 D.Lgs. n. 74/2000 sancisce la non punibilità nei casi di “ravvedimento operoso”, ossia quando viene estinto il debito tributario.
La richiesta di proscioglimento per intervenuta estinzione del debito può essere chiesta anche prima del dibattimento, ai sensi dell’art. 469 c.p.p.
Attenzione, però: la non punibilità opera soltanto se il pagamento del dovuto al fisco sia avvenuto prima che l’autore del reato avesse conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento fiscale.
La pena prevista dall’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 è la reclusione da 4 a 8 anni.
Se, però, l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 100.000 euro, si applica la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.
Alla pena principale, in ogni caso, si aggiungono le pene accessorie previste dall’art. 12 D.Lgs. n. 74/2000, quali:
Sia in caso di condanna che di patteggiamento, è sempre ordinata la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato.
Il reato di uso di fatture per operazioni inesistenti si prescrive nel termine di 10 anni e 8 mesi, cui va aggiunto ¼ in caso di eventuali atti interruttivi della prescrizione per un totale di 13 anni e 4 mesi.
Si ricorda, poi, che, ai sensi dell’art. 161 bis c.p., la pronuncia della sentenza di primo grado determina la cessazione definitiva del corso della prescrizione del reato.
Competente a decidere sul reato previsto dall’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 è il Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto è facoltativo in flagranza.
Sono consentite sia le misure cautelari personali che quelle reali.
Sono consentite le intercettazioni.
È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 100.000, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Le false fatturazioni offrono una falsa rappresentazione contabile della situazione tributaria, allo scopo di pagare meno tasse oppure non pagarle proprio.
In pratica, un soggetto fa una dichiarazione fraudolenta, utilizzando fatture per operazioni inesistenti o per valori diversi rispetto a quanto effettivamente sostenuto.
Attraverso queste operazioni fittizie, nella contabilità aziendale vengono quindi annotati costi più alti e dichiarati utili complessivi più bassi rispetto a quelli effettivamente realizzati.
Il reato in questione si configura quando, a fronte di operazioni in realtà mai realizzate, sono emesse fatture o altri documenti che vengono poi registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Sinteticamente, si può reputare falsa la fattura se:
Il reato di uso di fatture per operazioni inesistenti è punito con la reclusione da 4 a 8 anni, cui si aggiungono pene accessorie come le interdizioni nonché la confisca, anche per equivalente nel caso in cui i beni che costituiscono profitto o prezzo del reato non possano essere appresi direttamente.
La Guardia di finanza utilizza varie tecniche per identificare l’uso di fatture per operazioni inesistenti. Queste tecniche includono l’analisi dei dati finanziari, l’incrocio delle informazioni tra acquirenti e fornitori, l’ispezione delle registrazioni contabili e l’indagine sui comportamenti sospetti.
Inoltre, le segnalazioni di anomalie da parte di terze parti o di concorrenti possono contribuire all’individuazione di tali pratiche.
– Mantenere una corretta registrazione delle transazioni finanziarie;
– effettuare una verifica accurata dei fornitori e dei clienti prima di avviare una transazione commerciale;
– verificare l’autenticità delle fatture ricevute, inclusi i dettagli dell’azienda emittente;
– condurre regolari controlli interni per rilevare anomalie o discrepanze nelle transazioni;
– mantenere una stretta comunicazione con il commercialista o consulente fiscale per assicurarsi di aderire a tutte le norme e leggi fiscali applicabili.