Gli Avvocati penalisti dello Studio operano a Roma e su tutto il territorio nazionale, a tutela di coloro che vengano accusati di esercizio abusivo della professione, fornendo una serie di servizi legali utili per la propria difesa in sede penale, quali ad esempio:
– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;
– investigazioni difensive;
– redazione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari personali e reali;
– assistenza per tutta la durata del processo;
– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione.
Per fare un esempio di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, si immagini Tizio, proprietario di un fondo, il quale, convinto di avere diritto di passaggio sul fondo contiguo di proprietà di Caio pur non sussistendo una servitù prediale di passaggio contrattualmente pattuita o giudizialmente imposta, distrugge la rete posta dal vicino a divisione dei due fondi per passare con il proprio trattore.
Ancora, per altra ipotesi di esercizio arbitrario, si pensi al locatore di un appartamento che, a seguito del decesso del conduttore e della mancata restituzione dell’immobile da parte dell’erede, riacquisti il possesso dell’immobile sostituendo la serratura della porta d’ingresso, anziché esperire l’azione di rilascio per occupazione sine titulo nei confronti del successore del conduttore, divenuto detentore precario del bene.
Sempre con riguardo alla figura del locatore di un immobile, la Cassazione ha recentemente affermato che integra l’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose la condotta del proprietario di un immobile concesso in locazione, senza però registrare il contratto, con conseguente mancato pagamento dei canoini da parte del conduttore, che provvede ad esportare gli infissi presenti nell’abitazione come azione ritorsiva al mancato pagamento dei canoni, posto che il proprietario ben avrebbe potuto ricorrere al giudice civile al fine di vedersi riconosciuto il diritto a rientrare nel possesso dell’immobile e sfrattare l’inquilino, che pretendeva di rimanere nell’immobile senza corrispondergli il canone (Cass. Pen., sez. IV, 01/03/2022, n. 21846).
Ancora, costituisce reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose la condotta del socio accomandatario di una s.a.s. che, dopo esser stato estromesso dalla società e sostituito con altro amministratore dai soci accomandanti, sostituisce la serratura della porta di ingresso del locale dove si svolge l’attività commerciale, al fine di impedire agli stessi di accedervi per esercitare i diritti loro riconosciuti (Cass. Pen., Sez. VI, n. 36526/2020).
Gli esempi riportati ben delineano i tratti del reato di “ragion fattasi” con violenza sulle cose, che consta, sostanzialmente, di tre elementi:
Si badi, per condotta violenta sui beni si intende qualsiasi attività che si concretizzi nel danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione dei beni medesimi – si pensi, ad esempio, alla rimozione dei paletti che recintavano un posto auto –, tali da generare un cambiamento di natura oggettiva della cosa, impedendo o comunque rendendo difficile il ripristino della situazione preesistente.
Per un’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, si pensi a Tizio il quale, avendo prestato dei soldi a Caio per la propria attività e non avendo quest’ultimo, debitore, restituito il denaro così come era stato pattuito, chiami ripetutamente Caio al cellulare minacciandolo di morte al fine di indurlo ad onorare l’impegno economico preso.
Ancora, per altro esempio, si immagini Sempronio che, appreso del furto del motorino subito dal figlio, si convince che il colpevole sia il vicino di casa Nevio e si reca a casa di quest’ultimo minacciandolo e intimandogli di restituirgli immediatamente il mezzo. Tale ipotesi ricade, ovviamente, nel putativo, in quanto Sempronio non ha effettivamente un diritto esercitabile nei confronti di Nevio, ma agisce nella convinzione di averlo.
Con riferimento all’esempio appena riportato, si cita una recente pronuncia della Cassazione che ha affermato che il privato non ha alcun diritto ad esercitare una propria indagine personale esercitando violenza o minaccia nei confronti del sospettato autore di un precedente furto per ottenere la restituzione di quanto si assume sottratto illecitamente, poiché l’iniziativa volta alla individuazione degli autori di un fatto illecito ed alla repressione degli stessi è integralmente attribuita alla pubblica autorità di polizia ed all’autorità giudiziaria e non può, certamente, essere esercitata da privati attraverso indagini autonome e azioni violente illegittime (Cass. Pen., sez. II, 16/02/2022, n. 9972).
Attenzione, però, a quei casi-limite che a parere della Suprema Corte non integrano il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Di seguito si riporta quale esempio:
Come si è avuto modo di comprendere dagli esempi riportati, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, così come quello previsto dal contiguo art. 392 c.p., viene commesso da chiunque si faccia giustizia da solo, anziché far valere il proprio diritto (anche se erroneamente ritenuto sussistente) in maniera legittima, ossia rivolgendosi ad un giudice, con la sola differenza che nel caso di cui all’art. 393 c.p. la violenza (o minaccia) non è esercitata su una cosa, bensì su una persona.
Quanto alle pene previste dai reati in esame, mentre la “ragion fattasi” con violenza sulle cose è punita con la sola multa sino ad euro 516, quello con violenza alle persone è punito con la reclusione fino a 1 anno, cui si aggiunge anche la multa fino ad euro 206 nel caso in cui il fatto venga commesso anche con violenza sulle cose.
Entrambi i reati in esame si prescrivono nel termine di 6 anni, più 1/4 in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.
Venendo agli aspetti puramente procedurali, si tratta in entrambi i casi di reati procedibili a querela della persona offesa, per cui, in ottica difensiva, sussiste anche la possibilità di tentare una mediazione con la vittima del reato al fine di ottenere una remissione di querela con conseguente archiviazione o proscioglimento per mancanza della condizione di procedibilità
La competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto e il fermo di indiziato non sono consentiti, così come non consentite sono le misure cautelari personali.
La sentenza che si esaminerà di seguito prende le mosse dall’ordinanza n. 50696 della seconda sezione penale della Cassazione con cui sono state rimesse alle Sezioni Unite due questioni a lungo dibattute in giurisprudenza, ossia:
Ad avviso delle Sezioni Riunite, le condotte descritte dalle fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione non appaiono pienamente coincidenti, così come invece potrebbe sembrare: sebbene l’azione di coazione fisica o morale sia comune ad entrambe, tuttavia l’effetto scaturente costituito da uno stato psicologico di soccombenza, che si pone come prodromico all’atto di disposizione patrimoniale, è normativamente previsto soltanto nel reato di estorsione. Quindi, la paura del male prospettato è causalmente ricollegata alla compressione della libertà di autodeterminazione della vittima.
La differenza strutturale della materialità delle condotte trova la sua spiegazione nel diverso scopo cui le due fattispecie tendono: l’ottenimento di un indebito profitto con altrui danno nel reato previsto dall’art. 629 c.p.; la pretesa asserita giuridicamente tutelabile in quello di cui all’art. 393 c.p.
Nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni occorre preliminarmente accertare se, pur non essendo necessariamente richiesto che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realmente esistente, trattasi di una pretesa non totalmente arbitraria o del tutto sfornita di una ipotetica base legale. Giacché, se il giudice dovesse ritenere sussistente in una fattispecie concreta la possibile tutelabilità giuridica della richiesta avanzata dal reo, allora ricorrerà il reato di cui all’art. 393 c.p.; altrimenti, nel caso in cui la pretesa sia cervellotica e priva di ogni fondamento, sussisterà il diverso e più grave delitto di estorsione.
La gravità della violenza o minaccia deve certamente essere valorizzata, per la necessità di ricavare dall’esterno la prova del dolo, ma alla stessa non può riconoscersi la capacità di operare come parametro per individuare la linea di confine tra le fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione. Al contrario, affinché sussista l’ipotesi di reato prevista dall’art. 393 c.p. e non quella più grave di estorsione, è necessario il dolo specifico di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ossia che il soggetto agente abbia usato violenza o minaccia al solo e precipuo scopo di vedere soddisfatto il diritto vantato.
Ad esempio, è stato ritenuto integrante gli estremi del reato di estorsione il caso in cui il soggetto agente abbia esercitato la pretesa con violenza o minaccia in danno di un terzo estraneo al rapporto obbligatorio per costringerlo ad adempiere la prestazione dovuta in luogo dell’effettivo obbligato; correttamente, quest’ipotesi non è stata qualificata come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poiché il requisito della azionabilità in giudizio non sussisteva, posto che il colpevole non avrebbe potuto convenire in giudizio, in luogo dell’obbligato, il terzo minacciato.
La pronuncia in esame si concentra poi sull’altra questione dibattuta, ossia quella avente ad oggetto l’eventuale configurazione del concorso di terze persone nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ai sensi dell’art. 110 c.p.
A tal riguardo, la Cassazione ha affermato che, nell’ipotesi in cui la condotta tipica venga realizzata da un terzo a tutela di un diritto altrui, è necessario che questi abbia agito con l’esclusivo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo titolare e non per uno scopo prettamente egoistico di procurarsi un proprio profitto. Viceversa, qualora il soggetto agente dovesse agire in totale autonomia per perseguire i suoi interessi, nonostante inizialmente si fosse inserito in un rapporto inquadrabile nello schema di cui al combinato disposto di cui agli artt. 110-393 c.p., la condotta sarà riconducibile al concorso di persone in estorsione. In altri termini, sia con riferimento al caso in cui il terzo realizzi la condotta tipica, sia nel caso in cui egli sia mero concorrente nel reato, le Sezioni Riunite affermano che, qualora costui persegua anche o solamente un interesse personale, tutti i partecipanti nella condotta delittuosa risponderanno a titolo di concorso nel reato di estorsione, compreso il presunto creditore.
Orbene, tirando le somme di quanto affermato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, si precisa quanto segue:
In conclusione, non residua alcuno spazio per le ipotesi di concorso formale tra le due figure delittuose, risultando le stesse alternative tra loro.
Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516.
Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
Si ha altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico.
Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.
Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a euro 206.
La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.