Gli Avvocati penalisti dello Studio operano a Roma e su tutto il territorio nazionale, a tutela di coloro che vengano accusati di esercizio abusivo della professione, fornendo una serie di servizi legali utili per la propria difesa in sede penale, quali ad esempio:
– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;
– investigazioni difensive;
– redazione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari personali e reali;
– assistenza per tutta la durata del processo;
– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione.
L’esercizio abusivo della professione è quel reato commesso, ad esempio, dall’odontotecnico il quale provveda direttamente all’istallazione di una protesi dentaria oppure che rilevi le impronte dentarie di un paziente, in quanto tali operazioni, comportando manovre all’interno del cavo orale della persona, sono di esclusiva competenza del medico odontoiatra.
Molto frequente, nella prassi, l’ipotesi appena illustrata: basti pensare all’episodio accaduto ad Imperia lo scorso 24 maggio 2022, che ha visto coinvolto un odontotecnico il quale da anni ormai operava abusivamente tra Torino e Imperia, svolgendo l’attività professionale riservata al medico odontoiatra. A seguito di una indagine patrimoniale svolta dai NAS che ha evidenziato un’evidente sproporzione tra la capacità economico-reddituale dichiarata dal finto odontoiatra ed il suo reale tenore di vita, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Torino ha disposto il sequestro di uno yatch di 16 metri intestato al predetto.
Per altra ipotesi di esercizio abusivo della professione si pensi al praticante Avvocato che svolga l’attività professionale riservata agli Avvocati che abbiano superato l’esame di Stato e che siano iscritti agli albi professionali, come ad esempio curare in autonomia pratiche legali relative ai propri assistiti, predisporre ricorsi oppure spendere in udienza dinanzi al giudice o ad altro pubblico ufficiale la qualità indebitamente assunta.
Attenzione, però, al caso in cui un soggetto non iscritto ad alcun albo forense rediga una mera relazione di consulenza, pur su carta intestata “Studio legale internazionale”, in ordine ad un procedimento penale; in tal caso, infatti, la Cassazione ritiene non integrato il reato di esercizio abusivo della professione, in quanto la consulenza non rientra tra gli atti tipici per i quali è richiesta l’iscrizione all’albo degli Avvocati, trattandosi di un’attività relativamente libera e, come tale, solo strumentalmente connessa alla professione forense (Cass. Pen., Sez. VI, n. 17921/2003). Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’occasionale redazione di una denuncia, ancorché scritta su carta intestata, non potendo una prestazione isolata essere sintomatica di un’attività svolta in forma professionale, in modo continuativo, sistematico ed organizzato (Cass. Pen., Sez. VI, n. 32952/2017).
Esercizio abusivo della professione può aversi anche con riferimento alla professione di farmacista, quando esercitata da un privato che venda medicinali, come nel caso del diplomato in erboristeria che venda al minuto prodotti erboristici ricompresi nella tabella merceologica affermandone gli scopi terapeutici ed indicandone la posologia, ovvero dalla commessa di una farmacia che interpreti una ricetta medica e venda specialità medicinali. Al contrario, non sussiste l’ipotesi delittuosa laddove un erborista si limiti alla coltivazione e raccolta di piante, nonché alla loro preparazione industriale e commercializzazione, senza che nel corso della sua attività attribuisca ai prodotti posti in vendita funzioni di medicamento.
Orbene, il delitto in analisi risulta integrato dall’esercizio di una professione in assenza dei requisiti richiesti all’uopo dalla legislazione statale. Trattasi dunque di una norma penale in bianco, in quanto presuppone e rimanda ad altre disposizioni che determinano le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non è consentito, ed è quindi abusivo, l’esercizio dell’attività protetta (Cass. Pen., Sez. VI, n. 33464/2018). L’art. 348 c.p. si prefigge l’obiettivo di tutelare l’interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi abbia superato un esame statale di abilitazione; ciò allo scopo primario di garantire agli utenti/clienti/pazienti degli standard professionali adeguati ed accertati.
A quanto detto, si aggiunga che il terzo comma dell’art. 348 c.p. prevede una sanzione autonoma e più grave (reclusione da 1 a 5 anni) per il professionista che abbia spinto altri ad esercitare abusivamente la professione ovvero che abbia organizzato o diretto detta attività.
A conclusione di quanto detto sinora, si fa presente che, ai fini della configurazione del reato in esame, non è richiesto che il soggetto agente eserciti abusivamente la professione con lo scopo di trarne profitto o comunque per fini di privato interesse, così come non rileva che il destinatario della prestazione manifesti il proprio consenso, essendo sufficiente la mera consapevolezza della mancanza del titolo abilitativo e, pertanto, di operare contra legem.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito in tempi relativamente recenti che costituisce esercizio abusivo della professione il compimento senza titolo, anche occasionalmente e gratuitamente, di atti attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, così come il compimento di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione ed eseguiti con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un’attività professionale (Cass. Pen., SS.UU., n. 11545/2012; analogamente, si veda Cass. Pen., Sez. V, n. 7630/2017).
Ancora, la Suprema Corte ha anche chiarito a più riprese che alla mancanza del titolo di abilitazione, viene equiparata, oltre all’ipotesi di invalidità dello stesso, l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione, conseguente tanto ad una condanna per i delitti commessi con l’abuso di una professione quanto all’esistenza di una situazione di incompatibilità derivante dalle condizioni soggettive dell’agente. Come detto, non rileva – per escludere l’esistenza del reato – che il soggetto abbia superato l’esame di Stato necessario a conseguire la relativa abilitazione, laddove lo stesso non sia comunque iscritto nel relativo albo professionale.
A proposito dello svolgimento della professione medica, è stato chiarito che il responsabile di uno studio medico, per via della peculiarità della funzione esercitata a tutela di un bene primario, ha l’obbligo di verificare non solo i titoli formali dei suoi collaboratori, curando che in relazione a detti titoli essi svolgano l’attività in relazione alla quale risultino abilitati, ma ha, altresì, l’ulteriore e non meno rilevante obbligo di verificare in concreto che, al formale possesso delle abilitazioni di legge, corrisponda un accettabile standard di conoscenze e capacità manuali, conformi alla disciplina ed alla scienza medica in concreto praticate.
Ancora, la Cassazione ha specificato che risponde di concorso nel delitto di esercizio abusivo della professione medica il responsabile di uno studio medico che consenta o agevoli lo svolgimento dell’attività da parte di soggetti che egli sa non essere muniti di abilitazione (Cass. Pen., Sez. VI, n. 21989/2020).
Non integra esercizio abusivo della professione di geometra (ma è da ritenersi di una professione tout court) la presentazione al cliente di un preventivo di parcella, trattandosi non già di un atto espressivo della competenza e del patrimonio di conoscenze tutelati dal legislatore attraverso l’individuazione della professione protetta, bensì soltanto di un atto conseguente ed utile a quello tipico abusivamente posto in essere, che non assume autonomo rilievo qualora l’attività illecita non sia connotata da continuità e sistematicità (Cass. Pen. Sez. VI, n. 7086/2014).
Il reato in questione è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da € 10.000 a € 50.000. Il comma secondo, peraltro, prevede espressamente, in caso di condanna, la pubblicazione della sentenza, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e la trasmissione della sentenza al competente ordine o albo professionale ai fini dell’interdizione.
Pur permettendolo in astratto la cornice sanzionatoria (per intenderci, siamo al di sotto dei 5 anni di reclusione come pena massima), la Cassazione esclude, comunque, che possa trovare applicazione la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p., in quanto il delitto di esercizio abusivo della professione presuppone una condotta che, in quando connotata da ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici, è di per sé ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità (Cass. Pen., Sez. VI, n. 6664/2017).
È possibile, invece, ricorrere alla sospensione del procedimento con messa alla prova, il cui esito positivo comporta l’estinzione del reato.
Il delitto si prescrive nel termine di 6 anni, più 1/4 in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.
Quanto agli aspetti puramente procedurali, si tratta di un reato procedibile d’ufficio -non si richiedono condizioni di procedibilità, quali ad esempio la querela- e la competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto non è consentito per l’ipotesi di cui al primo comma, mentre è facoltativo in flagranza di reato nell’ipotesi di cui al terzo comma. Il fermo di indiziato non è consentito.
Le misure cautelari personali non sono consentite per l’ipotesi di cui al primo comma, mentre sono consentite nel caso descritto dal terzo comma.
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni quali mezzo di ricerca della prova sono consentite solo con riguardo all’ipotesi di cui al terzo comma.
Il delitto si prescrive nel termine di 6 anni, più 1/4 in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.
Quanto agli aspetti puramente procedurali, si tratta di un reato procedibile d’ufficio -non si richiedono condizioni di procedibilità, quali ad esempio la querela- e la competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica.
L’arresto non è consentito per l’ipotesi di cui al primo comma, mentre è facoltativo in flagranza di reato nell’ipotesi di cui al terzo comma. Il fermo di indiziato non è consentito.
Le misure cautelari personali non sono consentite per l’ipotesi di cui al primo comma, mentre sono consentite nel caso descritto dal terzo comma.
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni quali mezzo di ricerca della prova sono consentite solo con riguardo all’ipotesi di cui al terzo comma.
Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.
La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.
Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.