Abuso d'ufficio - Avvocato penalista Roma

Abuso d'ufficio - Avvocato a Roma

ART. 323 DEL CODICE PENALE

Gli Avvocati penalisti dello Studio operano a Roma e su tutto il territorio nazionale, a tutela di coloro che vengano accusati di abuso d’ufficio, reati contro la Pubblica Amministrazione, corruzioneconcussione aiutandoli a comprenderne al meglio gli elementi essenziali per difendersi nella maniera più efficace, mettendo a disposizione una serie di servizi legali utili all’assistito per la propria tutela personale e patrimoniale, che vengono riportati sinteticamente di seguito:

– consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;

– investigazioni difensive;

– redazione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari personali e reali;

– assistenza per tutta la durata del processo;

– redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione;

– attività difensiva a tutela del patrimonio contro eventuali provvedimenti di confisca di denaro o beni dell’assistito;

– assistenza tecnica nel corso dell’eventuale procedimento disciplinare.

Cos’è l’abuso d’ufficio? Chi può commetterlo?

L’abuso d’ufficio è quel reato commesso, ad esempio, dal vigile urbano il quale, potendo procedere alla contestazione sul posto, disponga l’accompagnamento coattivo nei propri uffici, senza che la persona intimata abbia rifiutato di dichiarare le proprie generalità ovvero sussistano ragioni per ritenere false le dichiarazioni rese.

Altro esempio di abuso d’ufficio può aversi con riguardo alla condotta del sindaco che, in violazione dell’apposita normativa comunale e disattendendo specifiche e reiterate richieste della minoranza consiliare, disponga sistematicamente la riunione del consiglio comunale in unica convocazione, anziché fissare, per la seconda convocazione, come prescritto dalla citata normativa, un diverso giorno; in tal modo, ritenendo sempre applicabile il più elevato quorum di presenze richiesto per la validità della prima convocazione, egli di fatto impedisce, mediante l’allontanamento sistematico dei consiglieri di maggioranza, il raggiungimento di detto quorum e, conseguentemente, la possibilità di adottare delibere.

Il reato di abuso d’ufficio, riformato da ultimo nel luglio 2020, costituisce una sorta di valvola di sfogo dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, posto che la clausola di riserva di cui all’incipit (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”) ne fa una norma sussidiaria, riservandone l’applicabilità ai soli casi in cui non venga a configurarsi un reato più grave.

Il reato in esame, ad oggi, racchiude tutte le condotte poste in essere da pubblici ufficiali o da incaricati di un pubblico servizio che, nello svolgimento dell’ufficio o del servizio, violino specifiche regole di condotta previste da leggi o da atti aventi forza di legge (decreti-legge e decreti legislativi), a patto che, si badi, esse non lascino alcun margine di discrezionalità al pubblico agente, ovvero omettano di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, procurando intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale con altrui danno. In altre parole, affinché si configuri il reato, occorre che si abusi di poteri “vincolati” (del tutto privi di margini di discrezionalità) conferiti dallo Stato al pubblico agente.

Al fine di accelerare l’attività amministrativa con la riforma del 2020, il legislatore ha, dunque, notevolmente ristretto i confini dell’abuso d’ufficio, liberando (o, quantomeno, provandoci) i pubblici funzionari dallo spauracchio della sanzione penale e favorendo il compimento delle scelte che i rispettivi uffici impongono, anche se a volte esse appaiono complesse e rischiose. Del resto, “governare è scegliere”.

Sulla scia di quanto appena osservato, si colloca una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, che ha confermato l’assoluzione di un sindaco accusato del reato di abuso d’ufficio per aver promosso un dipendente comunale sprovvisto di titolo, preferendolo ad altro candidato con migliori requisiti professionali. Alla base della decisione, la considerazione per cui va esclusa l’applicabilità della norma incriminatrice laddove le regole di condotta che si assumono violate rispondono in concreto, pur se in misura marginale, all’esercizio di un potere discrezionale (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 13136 depositata il 6 aprile 2022).

Al di là della vincolatività o meno dei poteri dei quali si abusa, in ogni caso, è sempre necessario che il pubblico agente consegua effettivamente un incremento del proprio patrimonio a seguito della condotta abusiva, motivo per cui la Suprema Corte ha assolto dall’accusa di abuso d’ufficio un professore universitario a contratto che indebitamente aveva favorito il superamento di un esame attraverso la preventiva rivelazione degli argomenti sui quali l’esaminando sarebbe stato interrogato; ciò sulla base, appunto, del mancato conseguimento di un concreto vantaggio economico per il beneficiario quale diretta conseguenza della condotta asseritamente abusiva.

Come già argomentato, affinché si realizzi l’abuso d’ufficio è necessario che la condotta abusiva si concretizzi in una violazione di regole di condotta sancite da leggi o da atti aventi forza di legge, motivo per cui l’ipotesi dell’eccesso di potere cade al di fuori del dettato normativo dell’art. 323 del codice penale. Da ciò deriva che, ad esempio, il cattivo uso dei poteri di valutazione dei candidati in un pubblico concorso da parte dei componenti della commissione è di per sé penalmente irrilevante, in quanto espressione della discrezionalità amministrativa che il legislatore ha ritenuto di sottrarre al sindacato del giudice penale.

Pene previste l’abuso d’ufficio

L’abuso d’ufficio è punito con la pena della reclusione da 1 a 4 anni, cui si aggiunge in caso di condanna (anche in caso di patteggiamento) la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo e l’eventuale procedimento disciplinare che potrebbe essere attivato dall’ufficio pubblico di appartenenza.

Il comma 2 dell’art. 323 prevede un aumento fino a 1/3 se il vantaggio patrimoniale o il danno conseguenti al reato sono di rilevante gravità. Di contro, però, l’art. 323 bis prevede una riduzione di pena fino a 1/3 rispetto a quella base nel caso in cui le condotte abusive del pubblico agente siano di “particolare tenuità”, ossia quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non solo l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni altra caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo tenuto dal pubblico agente e dell’evento da questi determinato.

Si rappresenta, conclusivamente, che il trattamento sanzionatorio abbastanza blando rispetto agli altri reati contro la Pubblica Amministrazione, in astratto, permette di beneficiare di istituti di forte favore per il reo, quali la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p. oppure la sospensione del procedimento con messa alla prova, il cui esito positivo estingue il reato.

Prescrizione del reato di abuso d’ufficio

Il reato di abuso d’ufficio si prescrive nel termine di 6 anni, più ¼ in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento penale, per un totale di 7 anni e 6 mesi.

Indicazioni sulla procedura

Venendo agli aspetti puramente procedurali in materia di corruzione, si tratta di un reato procedibile d’ufficio -non si richiedono condizioni di procedibilità, quali ad esempio la querela- e la competenza spetta al Tribunale in composizione collegiale.

L’arresto è facoltativo in caso di flagranza di reato, mentre il fermo di indiziato non è consentito.

Quanto alle misure cautelari, sono consentite solo quelle non custodiali (ad esempio, l’obbligo di firma o il divieto di espatrio).

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non sono consentite.

L’elemento soggettivo: dolo intenzionale

Affinché si configuri il reato di abuso d’ufficio, occorre che il pubblico agente agisca non solo con la consapevolezza di violare una specifica regola di condotta sancita da legge o da atto avente forza di legge, ma soprattutto che ciò avvenga con l’intenzione chiara (da provare autonomamente in sede di accertamento della penale responsabilità) di realizzare un ingiusto profitto ovvero di arrecare un danno ingiusto ad altri come conseguenza principale, e non meramente accessoria, della condotta abusiva.

Come recentemente affermato dalla Cassazione, infatti, non ricorre il dolo intenzionale di abuso d’ufficio quando l’agente persegua esclusivamente l’interesse pubblico ovvero quando, pur nella consapevolezza di favorire in via collaterale un interesse privato, sia mosso prioritariamente dall’obiettivo di perseguire un interesse pubblico (Cass. Pen., Sez. II, n. 10224/2019).

Art. 323 del codice penale

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

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